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Lungo la Val Dogna: tra natura e storia

DiLuigi Ferraro

Ott 30, 2020

Il cielo inizia a schiarirsi anche se pieno di nuvole che non promettono niente di buono sono le cinque del mattino, mi trovo sul ponte sul fiume Fella, che divide il piccolo Comune di Dogna dalla omonima valle, ad ammirarla in tutta la sua bellezza e immensità, peccato per il ponte della ex ferrovia che ne snatura la vista; ponte diventato punto di interesse panoramico per i ciclisti che percorrono la ciclovia dell’Alpe Adria, numerosi sono quelli che si fermano per scattare un selfie con la valle alle spalle.

Mi incammino lungo la strada asfaltata che porta a Sella Somdogna, essa ripercorre in gran parte il tracciato della vecchia rotabile militare, costruita in occasione del primo conflitto mondiale ed è caratterizzata da numerose gallerie, ponti e spettacolari scavi nella roccia. Iniziando la salita di circa 1000 metri di dislivello si attraversano le frazioni da nomi che evocano luoghi di altri continenti Roncheschin (465), Chiout di Pupe (470 m), Chiout di Gus (715), Chiout Zucuin (808 m),Chiout (838m), Costasacchetto (895),Mincigos (965 m) per citarne alcuni.

Lungo la salita scorgo in lontananza a lato della strada un animale steso, mi accorgo subito che non si muove. Infatti è un giovane capriolo cui qualche predatore ha completamente staccato la zampa sinistra posteriore. Un bel bottino e deve essere accaduto da poco. Da lì, purtroppo, il tempo non è più dalla mia parte e mi costringe, in località Chiutzuquin, a fermarmi sotto un grande albero di melo che sporge sulla strada giusto il tempo per indossare una mantellina e inzia a piovere fitto. Il brutto tempo le nuvole basse che coprono le vette dei monti circostanti non riescono a nascondere scorci di rara bellezza nel fondo valle, in ogni tornante della tortuosa salita non posso non fermarmi qualche secondo per osservare il fondo della valle con il suo torrente omonimo e le cascate che scendono dai monti con un fragore che alle mie orecchie sembrano un orchestra, amo sentirmi nel pieno della natura è qui in questa valle lo sono. Giunto in località Stavoli di Plans (1012 metri s.l.m.), incontro la linea fortificata dei Plans, uno sbarramento trasversale alla valle costruita per bloccare un eventuale avanzamento nemico da est. La trincea dei Plans, per la sua particolare collocazione e per la mole dei lavori eseguiti, venne più volte visitata dal Re d’ Italia Vittorio Emanuele III. Ora, lo straordinario complesso può essere visitato da tutti: l’itinerario, reso accessibile e segnalato da cartelli esplicativi, si snoda attraverso un dedalo di trincee, camminamenti, gallerie e corridoi blindati. Mi fermo anche io ad ammirare queste opere più che altro per svestirmi della mantellina visto che non piove più e rifocillarmi con qualche snak, mi appoggio a un tavolo posizionato all’ interno di quel che resta di un fabbricato ai lati della strada non altro che i resti di una stalla dove gli alpini ricoveravano i muli riconoscibile dai resti delle mangiatoie.

Ripresa la strada principale, dopo un paio di chilometri si giunge al Plan de Spadovai (1111 metri s.l.m.). Mi fermo alla prima baita dove mi accoglie il proprietario un vecchio alpino in vena di scambiare quattro chiacchiere, guardo la parete piena di cimeli (crest e calendari dei reparti alpini che si sono avvicendati a fare i campi d’arma in zona) complice il caldo della stufa resto li ammaliato ad ascoltare i racconti della vita militare e di quanti alpini ( che ho anche conosciuto) sono passati nella sua baita.La conversazione di colpo si sposta sulla fauna locale e mi dice che di buon ora aveva chiamato la Forestale per segnalare un capriolo sbaranato da una lince lungo la strada (proprio quello che avevo visto io). Aveva riconosciuto il predatore, lui anche esperto cacciatore, dai fori sul collo della povera bestia e dallo stacco netto dell’arto, esterna la propria cointraietà ai progetti di ripopolamento di animali che giravano da queste parti un secolo addietro che vanno oggi a distruggere l’ecosistema attuale.

Riprendo il percorso, davanti alla cappella del Battaglione Gemona mi fermo per un doveroso saluto e inizio a camminare lungo gli ultimi tornanti: il tempo finalmente è dalla mia parte il cielo come spesso avviene in montagna si apre da un momento all’altro: finalmente il sole e con lui la vista sui monti circostanti alla mia sinistra i Due Pizzi, il Piper e affiorano nella mia mente ricordi quante volte scalato, sulla destra lo Jòf di Somdogna alle sue spalle lo Jòf di Montasio. Raggiunta Sella di Somdogna, mi danno il benvenuto con i loro campanacci le mucche al pascolo della vicina malga, e da qui in una decina di minuti sono al Rifugio F.lli Grego dove mi concedo un oretta di pausa ad ammirare l’incomparabile panorama che si staglia davanti ai miei occhi, dal Monte Santo di Lussari al Nabois, dallo Jof di Montasio al Jof Fuart il monte Re a formare un anfiteatro unico, tanta la sua bellezza incommensurabile e la maestosità che sprigiona, montagne ricche di storia, custodi delle memorie della grande guerra, che in queste valli ha visto fronteggiarsi soldati italiani e austriaci, in scontri cruenti lasciando sul terreno migliaia di uomini.

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