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Film di Raúl Ruiz al Festival del Cinema Ibero-Latino Americano di Trieste

DiRedazione

Set 27, 2021

L’Opera Prima “El tango del viudo” di Raúl Ruiz arriva in forma audio integrale alla XXXVI edizione del Festival del Cinema Ibero-Latino Americano di Trieste: sarà il primo dei tre Eventi Speciali

Artista eclettico, regista monumentale che ha prodotto più di cento opere, molte delle quali sono state viste, studiate e addirittura bramate dalla critica cinematografica per riuscire a scavare dentro il tormento e la ribellione intelligente che ha fatto di Raúl Ruiz uno dei più importanti portavoce del cinema mondiale.

È emozionante poter annunciare che, ad oggi, è in arrivo El tango del viudo, Opera Prima del grande regista franco-cileno prodotta nel 1967. È stata rinvenuta una copia, senza audio, soltanto nel 2017 in una vecchia sala di cinema di Santiago del Cile. Valeria Sarmiento – vedova di Raúl Ruiz – assieme ad una sua collaboratrice, riuscì a riscattare i dialoghi grazie alla lettura del labiale da parte del lavoro immane di esperti da lei contattati. In seguito, il film è stato restaurato finemente e ha presenziato per la prima volta in assoluto al Festival di Berlino a febbraio del 2020. A causa della pandemia, l’opera non ha più circolato in nessun festival, ma grazie al lavoro costante e di alto livello, il Festival del Cinema Ibero-Latino Americano di Trieste nella sua XXXVI edizione, ha il grande onore di annoverare El tango del viudo a livello internazionale con l’audio in versione integrale. Il film farà parte degli Eventi Speciali del Festival il cui programma verrà illustrato alla Conferenza Stampa del 28 e 29 ottobre 2021.

Un evento, questo, che coinvolge un sentire mondiale, poiché la memoria di Raúl Ruiz vanta il primato dei festival cinematografici di Cannes, Locarno, Berlino e Venezia. È stato l’unico cineasta, per esempio, ad avere il coraggio di presentare un film, El tiempo recobrado, tratto dall’opera di Marcel Proust Le temps retrouvé (“Il tempo ritrovato”), gesto mai osato precedentemente da nessun cineasta, per il timore di non essere all’altezza dell’opera proustiana. Raúl Ruiz osò e fu un enorme successo, dove talento, audacia, autocritica e profondo rispetto per la cultura, l’hanno portato a creare un film più che degno del suo autore di riferimento, grazie anche alla preziosa partecipazione di attori come John Malkovich, Emmanuelle Béart e Catherine Deneuve, i quali, insieme anche a Chiara Mastroianni,

Michel Piccoli, e Nicolas Sarkozy, allora Presidente della Francia, hanno presenziato al suo funerale nell’agosto del 2011.

Considerato misantropo da molti, si dice che il cineasta franco-cileno avesse pochi amici e che dedicasse la maggior parte del suo tempo – per non dire tutta la sua vita – a ricercare la chiave che svelasse la corruzione esistenziale come condizione innata nell’essere umano, per lui inaccettabile. In particolar modo, Raúl Ruiz concentrò la sua attenzione e il suo sdegno verso il suo paese di origine, il Cile, nel quale iniziò la sua carriera come regista colpito e ferito intimamente dal Colpo di Stato fascista del 1973.

Ma era veramente un misantropo? O piuttosto era profondamente innamorato della purezza tanto da desiderarla ardentemente come natura prima dell’uomo? Ne El cuerpo repartido, Raúl Ruiz mette in chiara evidenza il tema centrale delle sue ossessioni: la degradazione umana nella logica della causa – effetto, l’incapacità di coltivare il dubbio come crescita intellettuale, la critica spietata verso il cinema di massa che non educa il fruitore al pensiero critico, ma lo addentra ancora di più nella fossa di idee preimpostate dal sistema vuoto e corrotto. In tutto questo, è impossibile non ricordare il tanto amato e ricercato tema del doppio, principio primo nella produzione di Raúl Ruiz, soprattutto come drammaturgo nell’opera maestra La maleta che rivela in chiave ironica una visione freudiana da un lato e esalta la destabilizzazione dell’uomo da un punto di vista esistenziale dall’altro, poiché il protagonista porta dentro la sua valigia un suo sosia e si raffronta con situazioni che sfiorano l’assurdo e che disegnano, in una tecnica volutamente alterata, la follia della società che lo circonda e di cui la società stessa non risponde, perché inetta e inglobata nel meccanismo dell’accettazione. Alla fine, però, sarà il sosia a liberarsi dalla valigia e a rinchiudere il personaggio principale che diventerà di conseguenza il sosia del sosia. Il rispecchiamento del doppio, dunque, non si riduce soltanto ad una critica spasmodica della società, ma si eleva piuttosto ad autocritica necessaria per comprendersi e comprendere il proprio posto all’interno del sistema che inevitabilmente lo fagocita. Raúl Ruiz si propone come primo errante in questo vortice sistemico, ma cercando di portarsi come esempio – probabilmente inconscio – nel coltivare il dubbio e la diffidenza al conformismo e a tutto ciò che viene definito per legge o per logica precostituita “naturale” e quindi inevitabile.

Necessario è specificare che Raúl Ruiz portò fino all’esasperazione il tentativo di raggiungere le coscienze con il suo immenso lavoro, avendo una spina nel fianco specifica: la società cilena.

Essendo lui stesso cittadino cileno e avendo subito il Colpo di Stato come il peggiore degli affronti a livello sociale, ma soprattutto esistenziale, non può che riportare il suo disgusto in una forma d’arte come il film Tres tristes tigres e Palomita blanca, quest’ultimo sequestrato per quasi vent’anni dalla dittatura, poiché scomodo e schietto nel dimostrare l’evidente corruzione politica e l’assembramento dei cittadini cileni a ingoiarne, inconsapevoli, tutto il marciume fatto di violenza e sopruso.

Una produzione mastodontica, quella del grande Raúl Ruiz, che ha permesso e permette ancora di addentrarci nelle sue opere con curiosità documentaristica, con respiro tenue nel rispetto di un lavoro così profondo fatto non solo di produzione tecnica, ma soprattutto di un amore sconfinato per l’umanità, per i suoi diritti imprescindibili e per la genialità che racchiude questa instancabile scatola umana in perenne contraddizione con i suoi tempi. E, inevitabilmente, viene da chiedersi quale sia il nostro ruolo in tutto questo, e José Román ha risposto audacemente ricordando il suo carissimo amico Raúl: C’era un gran lavoro ancora ad aspettare questo creatore instancabile, quando morì. Per tutti noi che ancora ci siamo, il lavoro è ricorrere ad un’opera smisurata nelle sue molteplici dimensioni”.

Di Redazione

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