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Legambiente ha presentato le proprie osservazioni al progetto delle (ormai famose) pale eoliche di Torreano/Pulfero (UD)

DiRedazione

Ago 12, 2025

Progetto che, per giudizio unanime, si presenta molto carente dal punto di vista tecnico, il che preoccupa e sorprende visto che la proponente, Ponente Green Power srl, è società di scopo del Green&Green Group che vanta progettazioni in tutto il mondo per migliaia di megawatt in tutte le tecnologie rinnovabili.

In una regione dove l’eolico è considerato “scarsamente sfruttabile a causa delle peculiarità del territorio” (Piano Energetico Regionale pag. 203), tanto da non meritarne nemmeno un capitolo di trattazione, ecco che . avanza Società disposta a metterci 65 M€ (sostenuti da un generoso contributo PNRR) avendo trovato che nelle Valli il vento c’è; ma per sostenere la bontà di un progetto così impattante e altrettanto generoso di risultati bisognerebbe dire con precisione quanto vento c’è, con quanta costanza soffia e quale efficienza offre per dedurne la producibilità in termini di GWh. Ma il progetto riporta i dati di un sito in Val Canale sostenendo che “I dati indicano la frequenza e la distribuzione del vento a lungo termine, con una direzione prevalente verso OvestNordOvest” quando, invece, un grafico esposto ad hoc evidenzia che tale direzione è prevalente verso Ovest-SudOvest. Ma ciò che più balza agli occhi è la producibilità (MWh/MW anno) che non viene dichiarata, talchè non si capisce come si possa affermare che l’impianto produrrà 84 GWh/anno pur dichiarando che “la complessità del terreno può contribuire a livelli di incertezza elevati”.

Inoltre, l’esame del progetto ci porta ad altre perplessità come quando, da una parte, si parla di “velocità medie annue (del vento) comprese tra 4 e 6 m/s” (valori rilevati a 100 m di altezza che portano ad una velocità compresa tra 14,4 e 21,6 km/h), mentre, dall’altra, si afferma che “la velocità oraria media del vento a Torreano non cambia significativamente durante l’anno, e rimane essenzialmente compresa tra 6,9 km/h (gennaio) e 7,6 km/h (marzo)” precisando che “I dati di seguito riportati fanno riferimento ad un vettore medio orario dei venti su un’ampia area … a 10 metri sopra il suolo”.

Disarma e sorprende il fatto che, per una risorsa energetica come il vento, che sarebbe benvenuta se ce ne fosse, ma sempre ritenuta da tutti non “sostenibile” in Friuli-VG, non si siano effettuate le necessarie verifiche di ventosità e capacità eolica in loco, risolvendo, invece, tutto in poche righe.

Altre osservazioni sono state fatte in merito alla viabilità d’accesso e di servizio, alla quantità (ignota) di movimenti di terra in zone molto delicate, all’assenza di un business plan e del calcolo di fattori importanti come l’LCOE e il EROEI, per non dire del rumore, vera croce degli impianti eolici, per i quali si portano a supporto solo dati d’impatto stimati rassicurando che, ove, a impianti fatti, il rumore delle pale superasse i limiti di legge, “si procederà mediante l’installazione di sistemi di serraggio opportunamente dimensionati”.  

In queste condizioni, Legambiente ha chiesto che il progetto venga portato a Valutazione di Impatto Ambientale, che vengano forniti ed approfonditi tutti gli elementi carenti o assenti, che vengano proposte alternative tecniche ivi compresa l’opzione 0.

Ma dobbiamo ricordare che abbiamo tutti un compito; quello di decarbonizzare i consumi energetici attraverso una transizione per la quale il nostro paese ha assunto impegni obbligatori, ma soprattutto che offre oggi alle varie categorie sociali (famiglie, produttori, amministrazioni) opportunità concrete di avere energia a basso prezzo, senza aggiungere CO2  nell’atmosfera

E questo compito vale anche per le comunità delle Valli che devono, pro quota, farsi carico di “offrire” il loro contributo alla decarbonizzazione; si rifletta su un dato semplice; se il PAESC (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima) di S. Pietro al N. (unico comune ad avere questo prezioso strumento tecnico nelle Valli) dice che oggi l’energia rinnovabile prodotta in loco è solo il 2% dell’energia consumata, si capisce bene quanto lavoro c’è ancora da fare e si capisce altrettanto bene che questo lavoro non può essere lasciato al caso o, peggio, all’arrivo di impianti estranei al territorio che non lasciano nulla ad esso o, peggio ancora, all’importazione di energia dall’estero, mantenendo Così una dipendenza strategica con le cosiddette democrature.

A tal scopo, serve allora una forte politica che spinga e aiuti i territori, tramite le loro amministrazioni consorziate, ad avviare il grande lavoro che c’è da fare per fare impianti di comunità, partendo dai tetti, dalle coperture, dalle aree marginali degradate, dalle aree militari dismesse,  e su su, fino all’utilizzo delle risorse naturali locali disponibili (biomasse, geotermico, idroelettrico, minieolico, fotovoltaico) sorretti da una pianificazione precisa e da una condivisione delle comunità. Il tutto con impatto ambientale minimo, con un lavoro trasparente e pubblico, con una pianificazione energetica seria in grado, eventualmente, di svolgersi con project financing mirati.

Bisogna condurre la transizione con investimenti pubblici, legati ai e per i territori, in collaborazione eventuale con i privati, quelli trasparenti e noti, non quelli oscuri che normalmente investono nelle nostre campagne, creando lavoro, competenze, condivisione e autonomia energetica veri; c’è lavoro per i prossimi decenni e non vorremmo (dovremmo) ritrovarci, alla fine, senza nulla in mano. Perché chi possiede l’energia, possiede il proprio futuro.

E infine, opponendoci a tutto e a tutti non faremmo che fare il gioco di chi vuole ancora le fossili e, magari, un po’ di nucleare facendone, seppur nella forma tascabile e pronto uso degli SMR o AMR (piccoli impianti da 10-300 MW), la soluzione magica di tutti i problemi energetici! Quali opposizioni e contestazioni ci sarebbero quando, anche solo per produrre l’11% dell’energia (obiettivo stabilito dal PNIEC, estendibile fino al 22%) che ci serve in regione, ne dovessimo installare tre o quattro; dove li metteremmo? A Torreano, a Bicinicco, alle foci del Tagliamento e dell’Isonzo?  

Emilio Gottardo,  Referente energia di Legambiente FVG

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