Il convegno è stata la quarta tappa del progetto “Impresa Futuro” voluto da Confartigianato Imprese Marca Trevigiana per offrire rotte alle imprese
Dall’inverno demografico al ruolo della scuola e della formazione, dall’immigrazione ai nuovi stili di vita, per arrivare all’inadeguatezza delle istituzioni chiamate a regolare il mercato del lavoro, malate di conservatorismo
Il lavoro c’è, mancano i lavoratori. Tra inverno demografico, scuola obsoleta, immigrazione e nuovi stili di vita, le imprese artigiane della Marca Trevigiana si scontrano ogni giorno con la carenza di manodopera. Il tema è stato affrontato nel convegno “Alla ricerca del lavoro perduto – L’occupazione tra nuovi stili di vita e immigrazione”, il 26 settembre a Vittorio Veneto. Con questa quarta tappa del progetto “Imprese Futuro”, Confartigianato Imprese Marca Trevigiana ha inteso analizzare uno dei fattori che sta frenando le crescita dell’economia trevigiana.
«Il lavoro manuale è sempre meno appetibile», è stata la riflessione proposta dal presidente Oscar Bernardi, «i ritmi produttivi collidono con il tempo libero personale, le aspettative dei giovani si stanno orientando verso altri valori. Per questo la nostra Confartigianato sta da anni insistendo su una politica di collaborazione tra scuola e impresa e su campagne di orientamento al lavoro e all’imprenditorialità dei giovani studenti trevigiani. La carenza di lavoratori non è un problema contingente, è una crisi sistemica, per questo gli artigiani non devono essere lasciati soli». «Occorre proporre una nuova immagine del lavoro per intercettare le aspettative dei giovani», ha fatto eco Enrico Maset, presidente Confartigianato Imprese Vittorio Veneto.
«Le istituzioni che regolano i contratti di lavoro e il mercato di lavoro sono nate nella seconda rivoluzione industriale, un altro mondo». È stata la provocazione lanciata da Maurizio Sacconi, già ministro della Salute, del Lavoro e del Welfare, presidente associazione “Amici di Marco Biagi”, che a questi temi ha dedicato il nuovo libro “Otre nuovo per vino nuovo”, in uscita a novembre.
«Ci sono molti atteggiamenti conservatori che si oppongono al cambiamento», ha proseguito Sacconi. «Nel post pandemia il mercato del lavoro è stato dinamico, ma continuiamo ad avere troppi inattivi. Dipende dalle carenze del nostro sistema educativo e formativo, viziato da atteggiamenti autoreferenziali che limitano il dialogo con il mondo produttivo. Non viene riconosciuta la valenza educativa del lavoro».
«Il lavoro è cambiato», ha confermato Alfonso Fuggetta, ordinario di informatica al Politecnico di Milano e amministratore delegato Cefriel, associazione che si occupa di ricerca e formazione. «C’è un problema enorme di orientamento allo studio. La priorità è la scuola, ma ci sono altri snodi da affrontare, a partire da quello salariale. A parità di ruoli, un posto di lavoro in Italia costa di più che in Germania e in Francia, nonostante lo stipendio sia più basso. La risposta della politica è inadeguata».
«Non si può considerare il capitale umano meno dell’energia», è stato l’ammonimento di Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro. «È un bene prezioso che va trattato in modo sistematico e su questo l’artigianato deve lavorare di più. Come anche sui canali di reperimento del personale: non sempre sono utilizzati tutti gli strumenti disponibili. Il terzo ambito riguarda welfare aziendale. Senza di esso l’azienda non è attrattiva, soprattutto per le giovani generazioni».
Tema che vede da tempo Confartigianato impegnata in proposte di interventi legislativi. «Il welfare è di uno dei punti delicati», ha denunciato il presidente Oscar Bernardi. «Mi riferisco al diverso trattamento tra il welfare aziendale e il welfare contrattuale: una vera e propria ingiustizia. Infatti, se le prestazioni di welfare contrattuale fossero detassate al pari di quelle erogate nell’ambito dei piani di welfare aziendale, potremo mettere nelle tasche dei lavoratori dell’artigianato veneto ingenti risorse aggiuntive».
Il punto cardine su cui ha ruotato il dibattito è stato comunque la scuola e il rapporto con le imprese. «Servono persone formate non solo dal punto di visto tecnico», ha posto l’accento Sacconi, «ma nella loro capacità critica e di assunzione di responsabilità. Servono lavoratori che abbiano un’educazione morale e che siano integralmente formati per rapportarsi correttamente con le macchine. Per questa formazione integrale, di fronte a un sistema educativo conservatore, occorre puntare sulle imprese. Serve l’integrazione tra l’apprendimento teorico e pratico. Serve la coprogettazione dei percorsi educativi con le imprese. Deve essere riconosciuta la loro valenza educativa».
«Anche i lavori dell’artigianato stanno cambiando e cambieranno», ha richiamato il professor Fuggetta. «C’è un problema enorme di orientamento allo studio. La priorità è la scuola. Serve una politica forte, ma anche di un’opinione pubblica forte. Abbiamo scarsa competizione nella scuola e nella formazione, come anche nella valutazione delle persone. Abbiamo bisogno di dare qualità alla scuola, un fattore che non passa dalle assunzioni di massa, ma da una sana competizione. Per fare politiche fatte bene servono volontà, risorse e strumenti. Oggi mancano gli strumenti. Quelli strumenti giuridici e amministrativi sono spesso lenti e complessi, scoraggiano il loro utilizzo».
A sintetizzare il quadro di sfide del mercato del lavoro veneto ci ha pensato Tiziano Barone. «Dal 2008 al 2023», ha fatto notare il direttore di Veneto Lavoro, «abbiamo perduto più 90 mila posti di lavoro nella manifattura e creato più di 200 mila posti di lavoro nei servizi. La rapida distruzione e altrettanto rapida creazione di posti di lavoro è la caratteristica ormai dal 2008. Inoltre, è sempre più spiccata la polarizzazione tra basse e alte qualifiche, con la costante sparizione delle qualifiche intermedie. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro non è solo del Veneto. Dal 2008 in poi è fenomeno che riguarda tutte le aree con economie avanzate. Infine, la demografia. Nel 2030 in regione avremo 400 mila persone in età lavorativa (15-40 anni) in meno. Per una decina d’anni i baby boomers sosterranno il mercato del lavoro, ma non oltre».
«Viviamo uno strano tempo dove addirittura si vorrebbe riformare l’uomo», ha concluso Maurizio Sacconi, «ma non si possono toccare la scuola, il mercato del lavoro e le tante sovrastrutture che sono state pensate per un mondo che non c’è più».