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Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato – la recensione del Prof. Floriano Romboli

DiRedazione

Dic 31, 2024

Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, Guido Maino Editore, Milano 2024

Recensione di Floriano Romboli

Il fascino e la pena del vivere nell’arte di Daurija Campana

Una caratteristica della ricerca poetica di Daurija Campana – ora antologizzata nel volume Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, pubblicato dalla Casa Editrice Miano – è il ricorso invero frequente a un sistema di rime, talora evidenti nella loro regolarità (“Socchiudi il sole tra le ciglia scure/ e lascia che il tempo i pensieri pasca/ hic et nunc, tra prati, piane e paure/ hai nascosto le cinque lire in tasca…”, Il canto del cuculo), talora più rare e sfumate (“…Ed io restavo a casa a prepararmi/ per la scuola e pensavo/ quanto avrei desiderato destarmi/ una volta col tuo bacio”, Madre) o magari maggiormente elaborate in un sapiente gioco fonico-ritmico di lontana, ma inequivoca ascendenza dannunziana: “Non piace./ La pioggia che dice/ che tace… Che pace!/ Tra gli orti, contorti/ pensieri distorti/ su vivi e su morti/ che pace, che sensi…/ Che pensi? (…) Sembriamo/ uccelli dagli aurei capelli, fringuelli/ leggeri e soavi/ che lievi/ distendono ali/ sul cielo sereno” (Non piace).

Tale particolarità compositiva implica un effetto di stabilità, di equilibrio armonioso, di indubbia scioltezza formale, pur in presenza di procedimenti costruttivi di segno opposto, quali l’enjambement, rivolto a esiti di “spezzatura”, di frangimento disarticolante la compagine strofica: “…Le tue cangianti vesti non ingannino/ il marinaio che il tuo volto ammira/ non si neghino al folto dei cipressi:/ così lui ti vedrà dalla dimora/ eterna…” (Luna); oppure, più specificamente, come le pause indotte dall’inversione dell’ordine sintattico nell’organizzazione del discorso logico, dall’impiego della figura dell’anastrofe: “Ti alzi, soffio di vita nell’aria/ dorato grano tra spighe e respiro,/ sopra la terra leggera che varia,/ sguardo di cielo immenso blu ammiro…” (Il vento); Il cielo è sereno, cade la pioggia,/ oggi il sorriso è turbato dal pianto,/ il viso riga scendendo la goccia,/ l’animo giace perduto ed affranto…” (Cade la pioggia); “Per te io piansi le lacrime in cuore,/ la giovanile età del gioco/ in cui la gioia dimostravo lieta/ e al sorriso spesso ricorrevo.// Ma poi ti vidi e fu in me il dolore/ che mi sussurrava il tuo sguardo fioco/ mancato sorriso lo sguardo vieta/ e nel guardarti, ricordo, piangevo…” (Amore).

Nondimeno una sollecitazione antitetica anima profondamente la struttura dei testi lirici di Campana. Una nota vitale, uno slancio positivo e proiettivo si precisano come attesa di un incontro morale-affettivo, come desiderio di piena intesa sentimentale, bisogno di integrazione con gli altri e di immedesimazione con il respiro pacificante della natura; questa istanza fiduciosa ed espansiva tende successivamente a contrarsi e a cadere, inappagata e respinta, risolvendosi in scacco emotivo, privazione, rimpianto, dolorosa solitudine: “…E spira il silenzio sopra il mio canto,/ la nuvola bella appare più rosea/ sorrisi sul sole e sui solchi scuri/ in petto il cuor mesto ora riposa” (Cade la pioggia, cit.); “…Continuo a bramar, ogni istante, ogni ora/ che il padre mio, che tanto io adoro/ ritorni da me e resti per ore/ per giocare con la sua bimba ancora” (Re Evandro); “…ma il desiderio seguiva il timore.// Giorni lontani, di gaudio e di festa/ giorni di vita, di spensieratezza/ tutto oggi è perso, come la pula/ che porta via il vento, troppo lontano…” (Mietitrebbia).

Anche nella produzione pittorica dell’autrice si alternano colori vivaci, un cromatismo esuberante e tonalità più cupe, dal blu al grigio: quest’ultimo, ad esempio, domina la rappresentazione del padre, ritratto di spalle sul trattore, figura indeterminata poiché ormai remota e perduta.

Il prefatore Michele Miano acutamente pone in risalto il fatto che la poetessa in varî dipinti “sembra prediligere la figura umana femminile”, riprodotta in atto problematico e pensoso. Aggiungerei che detta figura si staglia su un fondale uniforme e spesso nero, e concentra nello sguardo uno spirito suggestivamente enigmatico e interrogativo, pronto a misurarsi con le prove della vita, ma ad aprirsi altresì alla speranza: “Ti prenderei la mano/ tra spighe meste e campi di fieno,/ e assetata di vita/ correrei al lago, mentre i rossi papaveri/ condurrebbero i passi/ alla quiete…” (Vanessa cardui).

Floriano Romboli

Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-41-7, mianoposta@gmail.com.

Di Redazione

Direttore : SERAFINI Stefano Per ogni necessità potete scrivere a : redazione@vocedelnordest.it

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