• Mar. Dic 16th, 2025

Voce del NordEst

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La formica del natale

C’era una volta, un eroe forte, coraggioso e pieno di virtù. Invictus si chiamava e questa è la storia fantastica della sua vita, ricca di avventure, magia, amori e colpi di scena. Interessante vero? Peccato che questa che andrò a raccontarvi non sarà una storia del genere. Vorrei raccontarvi invece la storia di Bice, una piccola e comunissima… formichina nera. Ma come sarebbe a dire, miei piccoli lettori, che non si può scrivere una storia su di una formica? Si può eccome! Anche degli esseri così piccoli possono avere delle storie interessanti da raccontare. Non ci credete? Allora aspettate e vedrete!

Ricominciamo quindi da capo…c’era una volta una giovane formichina nera, di nome Bice, che viveva, insieme a migliaia di sorelle formiche, in un formicaio, costruito nell’intercapedine dei muri, di una casa, torinese.

Bice era una formica esploratrice. Il compito di perlustrare ogni angolo di quella casa, alla ricerca di sempre nuove fonti di cibo. Attraverso cunicoli, piccoli pertugi, buchi e condotti di aerazione, riusciva a raggiungere ogni luogo di quella casa. Nel piano alto, abitava la famiglia Deporcis, composta da quattro umani: papà, mamma e due figli. Nel piano basso abitava invece la famiglia Pocapaglia: composta da due soli umani: un giovane papà, insieme a suo figlio.

Bice veniva spesso mandata in esplorazione nella casa al piano superiore, perchè li, in ogni stanza, si trovavano sempre grandi quantità di cibo. Ad esempio, ogni giorno nel “gigante di latta” (che gli umani chiamavano cesto dell’immondizia) poteva trovare avanzi di pasta, bistecche smangiucchiate a metà o verdure ben condite abbandonate intatte. Ma quello non era il solo posto dove la nostra Bice scovava leccornie. Abbondanti prelibatezze come biscotti, popcorn e pezzi di torta, venivano abbandonate spesso anche sotto alle “morbide colline ” (che gli umani chiamavano divani). Per non parlare poi dei grossi pezzi di pane con marmellata, che scovava sotto i “tunnel lanosi” (che gli uomini chiamavano letti dei bambini). Insomma una vera e propria Eldorado formichesca.

L’esplorazione della casa dei Pocapaglia invece, era stata quasi completamente abbandonata dal formicaio. Da molto tempo oramai, le formiche non trovavano che poche briciole di pane, nascoste negli angoli più remoti della casa. Ben poca roba, rispetto alla casa del piano di sopra, perché valesse la pena d’investire tempo ed energie nella loro ricerca e raccolta. Nonostante ciò, la piccola Bice, continuava a svolgere imperterrita, le sue esplorazioni anche in quella casa. Per una formica, il mondo umano è gigantesco e spesso incomprensibile. Bice però era una formica curiosa e voleva capire come mai le “colonie umane”, potessero avere comportamenti così diversi gli uni dagli altri. Per questo disubbidiva agli ordini della sua regina e continuava ad esplorare entrambe le case. Soprattutto però, sprecava molto tempo, per fermarsi ad osservare gli abitanti delle due colonie umane. Giorno dopo giorno, osservazione dopo osservazione, aveva cominciato a capire che gli umani non sono per niente come le formiche. Le tane umane ad esempio non sono tutte uguali.

La famiglia De porcis, viveva in una tana ben climatizzata, sia d’estate che d’inverno e l’ambiente era salubre e ben pulito. Gli umani, sia adulti che cuccioli, indossavano vestiti belli e curati. La loro tana inoltre, era enorme rispetto al numero di umani che l’abitavano. Eppure alla Bice, sembrava che mancasse qualcosa in quella casa.

A dire la verità, in quella casa, c’era ben poco da mangiare anche per gli umani che l’abitavano. I Pocapaglia infatti, erano una famiglia poverissima.

…Eppure, nella casa dei Pocapaglia, nonostante la scarsità di cibo, l’aria era densa di qualcosa che nella casa dei De Porcis sembrava mancare del tutto: calore. Non quello dei termosifoni, no… quello che riscalda il cuore.

Il giovane papà dei Pocapaglia, seppur stanco e affannato dal lavoro, ogni sera trovava il tempo per giocare col suo bambino. Bice li osservava spesso, nascosta tra le fessure del pavimento, mentre costruivano castelli di cartone, disegnavano mostri con le matite colorate o ridevano insieme davanti a un vecchio libro illustrato. Quei suoni, le risate, i racconti sussurrati, perfino le ninne nanne stonate, per qualche strano motivo, facevano vibrare qualcosa nel piccolo torace di Bice.

Era strano per una formica sentirsi così. Le emozioni, di solito, sono cose da umani. Le formiche seguono la disciplina, l’ordine, la funzione. Ma Bice… Bice era diversa.

Bice, lo abbiamo detto, era curiosa. Ma la sua curiosità non si fermava ai cibi o agli umani. C’era qualcosa che le ribolliva dentro, che non riusciva a ignorare: un’inquietudine, una domanda senza risposta, una piccola voce che sussurrava: “Così non va.”

Perché più osservava il mondo umano – e anche quello del suo formicaio – più si accorgeva che non tutto era giusto. C’erano formiche che lavoravano senza mai fermarsi, mentre altre restavano al sicuro nei tunnel superiori. C’erano case umane piene di cibo buttato via, e altre dove i bambini andavano a dormire con lo stomaco vuoto. C’erano gesti frettolosi e urlati, ma anche carezze rare e preziose.

Bice non riusciva a stare ferma di fronte a queste ingiustizie. Dentro di lei nasceva ogni giorno una domanda nuova: “Perché è così?” E subito dopo: “Cosa potrei fare io, per cambiarlo?”

Fu così che cominciò a vedere il suo ruolo di esploratrice sotto un’altra luce. Non era più solo una cercatrice di briciole, ma una testimone. Vedeva ciò che le altre formiche ignoravano. E soprattutto, voleva agire. Ma come?

“Cosa potrei fare io, per cambiarlo?”

Era questa la domanda che da giorni ronzava nella testa di Bice. Un pensiero insistente, come un sassolino sotto una zampa.

Ma come? Lei era solo una piccola formica, una tra migliaia. Solitaria, nel suo modo di pensare. Il mondo intorno a lei era immenso e traboccante di ingiustizie. Come avrebbe potuto aggiustarlo da sola?

Il tempo passava, e quel desiderio restava lì, piccolo ma incrollabile, come un seme sotto la neve.

Finché, un giorno, la neve non cominciò a cadere. Scendeva lenta e silenziosa fuori dalla casa, imbiancando i davanzali come zucchero a velo. Ma, in quella stessa sera, qualcosa cominciò a cadere anche dentro il cuore di Bice. Una neve sottile e leggera, fatta di pensieri, di domande, e di un freddo nuovo: non quello dell’inverno, ma quello dell’ingiustizia.

Era la sera della Vigilia di Natale. Tutto sembrava immobile, sospeso, come in attesa di qualcosa.

Le formiche si preparavano per la notte come sempre, divise nei gruppi di raccolta. Era una notte importante: nella casa dei De Porcis si mangiava in abbondanza. E quando gli umani mangiano tanto, sprecano tanto. Era l’occasione perfetta per fare scorta.

Ma Bice non riusciva a pensare al cibo. Era inquieta. C’era qualcosa che non tornava.

Risalì in silenzio lungo i cunicoli fino a un piccolo foro nel battiscopa, e da lì sbirciò verso la casa dei Pocapaglia. Dentro, solo una luce fioca. Il padre scaldava una zuppa pallida, mentre il bambino, seduto sotto una coperta, osservava le luci colorate della casa accanto. Nessun albero, nessun regalo, nessuna tavola imbandita. Solo tristezza.

Bice abbassò le antenne, col cuore gonfio. E poi, da lontano, sentì le urla e le risate della famiglia De Porcis: brindisi, piatti pieni fino all’orlo, vassoi colmi di panettoni, arrosti, creme, frutta candita. E già i primi resti cominciavano a finire nel gigantesco cesto dell’immondizia.

Fu in quel momento che Bice capì: quella era l’occasione. Quella era la risposta alla sua domanda.

Non poteva cambiare il mondo da sola. Ma poteva cominciare da lì. E se fosse riuscita a coinvolgere le altre formiche? Forse, insieme, avrebbero potuto fare qualcosa di davvero grande.

Si precipitò nel cuore del formicaio e chiese un’assemblea straordinaria. Le formiche, infreddolite e pronte alla raccolta, la guardarono sorprese.

«Sorelle, ascoltatemi!» esclamò, salendo su un piccolo sasso come fosse un palco. «Stanotte è Natale. Per gli umani è una notte speciale. Parlano di pace, di amore, di condivisione… ma guardate cosa accade! In una casa, si butta via il cibo. Nell’altra, non c’è nemmeno un biscotto per un bambino. È questo il mondo che vogliamo servire?»

Qualcuna borbottò: «Ma noi siamo solo formiche…»

Bice alzò le antenne: «Appunto! Noi siamo formiche. Non sprechiamo. Non ignoriamo. Viviamo per la collettività. Possiamo essere migliori degli umani. Se loro si sono dimenticati il significato del Natale… possiamo ricordarglielo noi!»

All’improvviso, dalle gallerie laterali, comparvero le guardie reali. Le loro ombre lunghe intimidirono la folla, che si fece subito silenziosa.

Poi, con passo lento e solenne, avanzò la Regina. Alta, elegante, avvolta in un alone di rispetto e timore. Le sue antenne si muovevano lente, ma precise. I suoi occhi neri scrutavano Bice come si osserva qualcosa di nuovo… e potenzialmente pericoloso.

«Chi disturba l’ordine del formicaio?» chiese con voce profonda, ogni sillaba carica di autorità.

Bice si inchinò con rispetto, ma senza piegare il cuore. «Mia Regina, sono io. Non per ribellione… ma per dovere. Stanotte, chiedo che si ascolti qualcosa che non è nei nostri turni, né nei nostri compiti. Ma che è nel nostro spirito.»

«Il nostro spirito?» ribatté la Regina con un tono lievemente sarcastico. «Il nostro spirito è la sopravvivenza. L’ordine. L’efficienza. Da sempre. E tu ora vorresti cambiare questo per… per cosa?»

Bice salì di nuovo sul piccolo sasso, con gli occhi lucidi di emozione. «Per giustizia. Per solidarietà. Perché stanotte, là sopra, una famiglia non ha nulla con cui festeggiare il Natale. Un padre e un bambino che guardano la tavola vuota. E proprio sopra di loro, un’altra famiglia butta via il cibo senza pensarci due volte. Non possiamo continuare a raccogliere nel buio, come se non vedessimo. Perché noi vediamo. Io vedo.»

La Regina la fissò a lungo. «E cosa proponi, piccola formica dal cuore grande? Che ci facciamo carico dei drammi degli umani?»

«No, mia Regina. Propongo che, almeno stanotte, ricordiamo loro ciò che si sono dimenticati. Che il Natale è condivisione. Che una briciola, a volte, può valere più di un banchetto intero. Propongo di portare parte del cibo raccolto non al magazzino, ma alla famiglia che non ha nulla. Perché noi, nel nostro piccolo, possiamo essere grandi. Persino più grandi degli umani.»

Il silenzio nel formicaio era denso, sospeso. La Regina restò immobile, le antenne ferme. Poi disse, con voce lenta:

«Siamo formiche. Non siamo nate per cambiare il mondo. Ma forse… possiamo ricordargli che è ancora possibile farlo.»

E con un lieve cenno del capo, diede il suo consenso.

Un silenzio cadde. Poi, lentamente, una formica anziana fece un passo avanti. Poi un’altra. Poi un’intera fila.

E così, nella notte più fredda dell’anno, cominciò una missione formichina senza precedenti.

Le formiche, confuse ma incuriosite, seguirono la piccola esploratrice.

Arrivarono in cucina. I De Porcis avevano lasciato sul tavolo avanzi di panettone, biscotti, frutta secca, perfino una caramella rossa.

Una vera ricchezza.

Le formiche si dispersero subito, ciascuna verso un boccone diverso.

Una cercava di spingere un pezzo di panettone.

Una tentava di trascinare una scorza d’arancia, arrampicandosi con tutte le forze, ma scivolava di continuo sul succo appiccicoso.

Un’altra aveva stretto tra le mandibole una mandorla, ma dopo pochi passi le gambe tremarono e dovette lasciarla cadere.

Tre formiche cercavano di sollevare un pezzetto di biscotto, ma il dolce si sbriciolava sotto il loro stesso peso.

Una formica si accasciò con le zampette distese: «Non serve a nulla…»

Un’altra si sedette sul bordo di un cioccolatino e scosse la testa: «Forse abbiamo sognato troppo in grande.»

Qualcuna cominciò a tornare indietro, trascinandosi piano: «Siamo solo formiche… non possiamo fare miracoli.»

Il tavolo era diventato un campo di battaglia silenzioso, pieno di briciole inutili e cuori stanchi. Tutto era troppo grande, troppo pesante.

Lo slancio iniziale si era spento, come una candela spenta dal vento.

Anche Bice sentiva il peso della sconfitta. Guardava quel mondo di dolci inaccessibili, più vicini che mai… eppure impossibili.

Bice guardò le sue compagne. Tutte diverse. Tutte ostinate. Tutte… sole.

Nel momento più silenzioso della notte, mentre le formiche giacevano stremate tra briciole troppo grandi e dolci irraggiungibili, Bice chiuse gli occhi e nel silenzio, sentì il battito del suo cuore.

Un battito. Poi un altro. Poi un altro ancora. All’improvviso capì.

Non era sola. Non lo era mai stata.

«Aspettate!» gridò. «Stiamo sbagliando! Se ognuna tira per sé… nulla si muove. Ma se spingiamo insieme… possiamo fare miracoli.»

Bice balzò su una briciola di panettone e con voce ferma, ma carica d’emozione, gridò:

«Una da sola non basta. Ma tutte insieme, sì! Nessuna è piccola, se il cuore è grande! Non siamo sole. Possiamo farcela… se lo facciamo insieme.»

E fu allora che qualcosa cambiò davvero. Le sue parole scivolarono tra le formiche come una scintilla nel buio. Non si videro luci. Nessun suono magico, ma le zampette sembravano leggere. I pezzi più grandi diventavano trasportabili.

Ogni formica, anche la più stanca, sentì rinascere un’energia nuova. Non solo nelle zampe… ma nell’anima. Era come se la fatica non pesasse più.

Era la forza dell’unione.

Era la magia del cuore.

Si formarono squadre, file ordinate, catene vive di zampe e mandibole.

Le formiche si passarono pezzi di torrone, canditi, gocce di cioccolato, come un esercito armonioso.

Alcune tagliavano pezzetti con cura, altre li trasportavano, altre ancora li sistemavano in una minuscola slitta costruita con fil di lana e stuzzicadenti.

Il tavolo, prima regno della confusione, divenne un cantiere di magia.

La fatica c’era, certo, ma non faceva più paura, perché in ogni sforzo, c’era un sorriso, in ogni inciampo, una zampa tesa ad aiutare.

E in ogni formica… una piccola luce accesa.

Arrivate nella casa buia e fredda dei Pocapaglia, le formiche sistemarono tutto.

Composero un minuscolo banchetto: panettone al centro, biscotti attorno, la caramella in cima a un bottone lucido come una stella.

E accanto, un minuscolo albero fatto con un rametto, avvolto da un filo d’argento e un granello di zucchero.

Lavorarono senza sosta per tutta la notte, come solo le formiche sanno fare, quando hanno un obiettivo comune e il cuore pieno.

Ogni zampa, ogni mandibola, ogni minuscolo sforzo fu parte di un miracolo.

E terminarono giusto in tempo.

La mattina di Natale sorse lenta, avvolta da un silenzio ovattato e dal profumo gentile della neve, che ancora cadeva lieve oltre i vetri.

Nella piccola casa dei Pocapaglia, tutto era fermo. Nessun pacco da scartare, nessun profumo di colazioni speciali, nessuna musica. Solo un freddo silenzio.

Il bambino si svegliò piano, con le guance ancora arrossate dal sonno e le manine fredde strette a pugno sotto il cuscino.

Non si aspettava niente, come ogni Natale.

Ma quando scese dal letto e si avvicinò alla cucina… si fermò di colpo.

I suoi occhi si spalancarono.

Sul tavolo della cucina, dove la sera prima non c’era nulla…

ora c’era una meraviglia.

«Papà! Vieni a vedere!»

La voce del bambino ruppe il silenzio della casa come una campanella di gioia.

Il padre accorse, ancora assonnato, e si inginocchiò accanto a lui. I suoi occhi si spalancarono alla vista della tavola imbandita.

Panettone a fette, biscotti decorati con briciole di mandorla, pezzetti di frutta secca e candita disposti con cura, quasi con arte. E tutt’intorno, minuscole impronte che correvano tra lo zucchero a velo e le decorazioni improvvisate.

«Chi… chi ce l’ha portato?» sussurrò il padre, incredulo, con un nodo in gola.

Il bambino sorrise, con gli occhi lucidi e pieni di meraviglia. Indicò le minuscole orme sul tavolo e disse:

«Forse Babbo Natale è piccolo. Piccolissimo.»

Il padre lo guardò, poi rise piano, una risata commossa che aveva il sapore di lacrime non versate.

Lo strinse forte a sé e disse:

«Forse… il vero Natale arriva da chi dà, anche quando ha poco. Da chi non dimentica chi è rimasto indietro. Da chi crede che un gesto, anche piccolo, possa cambiare il mondo.»

E sotto il tavolo, tra le crepe del battiscopa, una piccola formica nera osservava la scena, le antenne alzate e il cuore che batteva forte.

Non cercava applausi. Le bastava sapere di aver fatto la cosa giusta.

Perché a volte, non servono grandi magie per cambiare le cose.

Basta una briciola di coraggio, un pizzico di gentilezza… e tante piccole forze unite da un solo grande sogno.

Bene, miei piccoli lettori, siamo giunti alla fine di questa storia. Ma vedo che ancora non avete sonno… E allora, vi racconterò cosa accadde negli anni che seguirono quella notte di Natale, quando tutto cambiò nel formicaio di Bice.

Da quel giorno, il formicaio cambiò. Non cercavano più solo dove c’era abbondanza, ma anche dove c’era bisogno.

Bice divenne qualcosa di unico nel formicaio: una piccola leader non con la forza, ma con l’esempio. Non con il comando, ma con il cuore.

Ogni volta che una formica condivideva una briciola, ogni volta che evitavano di depredare una casa già povera, Bice sentiva che il mondo, anche se di un granello, stava cambiando.

Le formiche iniziarono a parlare tra loro. Non si trattava solo di cibo, ma di qualcosa di più grande. Ogni volta che una di loro aiutava un’altra, ogni volta che si fermavano a guardare il mondo con occhi diversi, sentivano che qualcosa dentro di loro si illuminava.

E così, nel tempo, il formicaio crebbe in un modo che nessuna formica aveva mai immaginato. Non per il cibo che raccoglievano, ma per le piccole magie quotidiane che accadevano: la solidarietà, la gentilezza, l’idea che insieme si poteva sempre trovare una soluzione.

E se qualcuno, timidamente, le chiedeva:

«Possiamo anche noi rendere il mondo più giusto?»

Bice sorrideva, le antenne alzate come stelle, e rispondeva:

«Sì. Cominciamo adesso.»

Buonanotte miei piccoli lettori

Di Simone Piaquadio

Simone è uno scrittore in viaggio tra parole e riflessioni. Ama raccontare storie di cambiamento e ricerca di sé, con uno sguardo profondo e autentico- Qui condivide pensieri, frammenti di racconti con chi, come lui, ama perdersi e ritrovarsi tra le righe.