• Ven. Dic 5th, 2025

Voce del NordEst

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C’era una volta un cavaliere, senza nome e senza volto. La gente del reame lo chiamava semplicemente “il cavaliere misterioso”, perché nessuno conosceva il suo nome né aveva mai visto il suo volto, che da sempre era rimasto celato dietro a una maschera di ferro scura, che non toglieva mai. Era un cavaliere solitario, che errava col suo cavallo bianco per le terre del regno.
Era consuetudine, tra i nobili cavalieri del tempo, ingaggiare duelli e partecipare a cruenti tornei, che assegnavano ricchi premi e prestigio ai fortunati vincitori. Il cavaliere misterioso si rifiutava categoricamente di parteciparvi. Non era in cerca di avventure, né di soldi o gloria. Cercava soltanto qualche persona debole e bisognosa da aiutare e da difendere dai draghi malvagi che infestavano le terre del mondo, a quel tempo. Non riceveva compensi né riconoscimenti per quelle gesta. A drago sconfitto, col favore delle ombre della sera, riprendeva la sua strada, non facendo più ritorno al villaggio soccorso.
Girava una storia sul cavaliere misterioso. Si diceva che un tempo fosse stato il più forte e valoroso cavaliere del Re: il suo primo cavaliere, protagonista di innumerevoli avventure e battaglie vittoriose. Ma la sete di conquiste del Re era enorme e spingeva perennemente i propri cavalieri alla guerra, lanciandoli in battaglie penose e improbe. Si narrava che, nell’ultima grande battaglia del regno, il cavaliere misterioso avesse salvato la vita al Re, caduto vittima di un agguato assassino. Lui era rimasto l’unico superstite e aveva affrontato e sconfitto, da solo, il manipolo di venti soldati attentatori.
Dopo quel gesto eroico, il Re gli aveva concesso di congedarsi. Il cavaliere misterioso aveva allora indossato la maschera di ferro, per non mostrare le piaghe che le troppe guerre e la troppa violenza avevano lasciato sul suo viso. E così aveva a lungo vagato senza meta, con lo sguardo vuoto e spento, alla ricerca di un buon motivo per continuare a far battere quel suo cuore ormai duro e freddo. Quanto di vero ci fosse in questa storia, nessuno lo sapeva.
Le svolte nella vita, però, arrivano proprio quando ormai tutto sembra perso e la speranza dileguata. Era capitato così anche per il cavaliere misterioso. Una mattina fredda e nevosa, mentre cavalcava sul sentiero di un bosco, aveva udito un fievole cinguettio, e il suo cuore era stato come attraversato da una brezza calda: una brezza capace di riscaldare, per un attimo, quel suo vecchio cuore freddo.
Scendendo da cavallo, si era diretto verso un ceppo cavo di un albero morto e lì, con suo stupore, aveva trovato un piccolo e indifeso scricciolo. Cinguettava debolmente, semiassiderato nella neve. Aveva sicuramente un’ala rotta e diverse ferite nel petto, causate probabilmente dagli artigli affilati di un falco famelico. Sentiva che doveva aiutarlo. Lo aveva allora delicatamente raccolto e portato con sé, nella sua vecchia casa di paglia, che distava pochi chilometri da quel luogo.
Lo aveva immediatamente scaldato vicino al fuoco, fasciato l’ala rotta e medicato le ferite sul petto. Queste erano molto profonde e, solo per pochi millimetri, gli artigli del falco non avevano trafitto quel cuoricino che, seppur debolmente, batteva ancora.
Ogni giorno, per molti giorni, il cavaliere misterioso si prendeva cura del suo scricciolo: lo nutriva amorevolmente, gli cambiava i bendaggi alle ferite e lo accarezzava delicatamente. In cambio lo scricciolo lo ripagava con il suo dolce e tenero canto.
Questo, per lui, non era un semplice suono. Il cavaliere riusciva a captarne ogni piccola vibrazione. Gli entrava dentro, giù nel profondo… sempre più giù… sempre più in profondità! Quelle vibrazioni gli martellavano il cuore, scalfendo la dura pietra e il ghiaccio che lo avevano da lungo tempo ricoperto. Ogni giorno lo scricciolo recuperava un po’ delle sue forze e, assieme a lui, anche il cavaliere misterioso sentiva la voglia di vivere crescere in sé: quella voglia di vivere che credeva di aver seppellito insieme ai tanti cavalieri morti in battaglia al suo fianco.
Aveva di nuovo voglia di ridere, di cantare, di uscire e rotolarsi nella neve, di ballare sotto la pioggia e urlare di notte alle stelle. Urlare che lui era un uomo felice, perché gli era stato fatto un regalo prezioso! Di cos’altro aveva bisogno? Era grato al bosco e all’universo per avergli mandato lo scricciolo magico e non desiderava null’altro al mondo che poter godere per sempre di quel canto.
Lo scricciolo guariva rapidamente. Ogni giorno zampettava sulla spalla del cavaliere, dove intonava i suoi canti magici. Amava poi accucciarsi nel giaciglio di paglia che il cavaliere aveva preparato accanto al suo letto. Amava riposare vicino a lui. Amava addormentarsi, tra il dolce tepore di quelle mani delicate e dispensatrici di coccole.
Erano felici, e il cavaliere misterioso pensava che nulla avrebbe mai potuto separarlo dal suo uccellino magico.
Poi, una mattina, il cavaliere si era svegliato e non aveva più trovato il suo scricciolo nel giaciglio vicino al letto. Guardandosi intorno, lo aveva visto volare eccitato vicino alla finestra. L’ala era guarita e poteva di nuovo volare. Fuori dalla finestra c’era un sole caldo, e il picchiettio di gocce d’acqua rivelava lo scioglimento della neve sul tetto della casa.
Il cavaliere capiva perfettamente il sentimento del suo scricciolo: sentiva il richiamo del bosco e della primavera che, fuori, ormai sopraggiungeva imminente. In un attimo gli era apparso tutto chiaramente. Come aveva potuto pensare di tenere per sempre con sé quell’animale? Erano troppo diversi. Lui era un uomo, saldamente e inevitabilmente legato con i piedi al suolo. Il suo scricciolo, invece, era un uccello dei boschi, nato per volare e cantare libero nel cielo.
Il cuore gli diceva di aprire la finestra e lasciarlo uscire, ma la testa aveva paura di farlo. E se fosse ripiombato nel freddo e nella tristezza che avevano contraddistinto la sua vita negli ultimi anni? Se non fosse stato capace di mantenere accesa la gioia e la voglia di vivere che lo scricciolo aveva risvegliato con il suo canto magico? E poi, fuori, c’erano i falchi, che potevano di nuovo prenderlo e magari, questa volta, trafiggergli il cuore!
No, non avrebbe aperto la finestra!

Il cavaliere misterioso, però, era un uomo buono e generoso. Così aveva deciso di fare un gesto che non compiva da lungo tempo. Si era tolto la maschera di ferro e, con timore, si era avvicinato allo specchio. Molte cicatrici rigavano quel volto ma, guardandosi attentamente, si era accorto che ognuno di quei segni derivava da una battaglia combattuta per salvare un amico… per salvare una vita.
Non avrebbe voluto aggiungere un altro segno causato dal rimorso di aver “ucciso l’anima vitale” del suo piccolo scricciolo magico. Senza più un dubbio, si era allora diretto alla finestra. Aveva invitato ancora, per l’ultima volta, il suo scricciolo felice a salire sulla spalla. Gli aveva fatto l’ultima tenera carezza e, con le lacrime agli occhi, aveva poi aperto la finestra sul bosco.
Ciò che sarebbe poi stato del cavaliere e dello scricciolo magico, noi menastrelli non lo sappiamo. Forse lo scricciolo sarebbe tornato ogni primavera a cantare per lui, oppure avrebbe scelto di volare lontano, libero tra i rami del bosco. In fin dei conti, miei piccoli lettori, ognuno di voi può immaginare due finali diversi per questa storia. Perché un bambino che perde la sua capacità di immaginare perde anche la magia dell’infanzia, e un adulto che non sa più immaginare smarrisce per sempre il bambino che c’era in lui.

Buona notte miei piccoli lettori

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Di Simone Piaquadio

Simone è uno scrittore in viaggio tra parole e riflessioni. Ama raccontare storie di cambiamento e ricerca di sé, con uno sguardo profondo e autentico- Qui condivide pensieri, frammenti di racconti con chi, come lui, ama perdersi e ritrovarsi tra le righe.