CERVIGNANO | TEATRO PASOLINI
4 aprile 2019 ore 21:00
La guerra è parte incancellabile del destino dell’umanità? È realisticamente possibile il passaggio da un sistema di guerre incessanti e di ingiustizia sociale a un sistema mutuale e pacifico?
Il canto della caduta pone punti interrogativi propri anche del nostro tempo: una risposta, possibile, sta forse fra le pieghe di un’antica storia ladina, il mito dei Fanes, un regno pacifico di donne, distrutto dall’inizio di un’epoca del dominio e della spada. Uno stormo di corvi animatronici e una piccola comunità di bambini-pupazzo superstiti, ispirati alla street art di Herakut, sono i nuovi compagni di scena della straordinaria Marta Cuscunà, in un nuovo viaggio di resistenza.
Il regno di Fanes
Il mito di Fanes è una tradizione popolare dei Ladini, una piccola minoranza etnica (35.000 persone) che vive nelle valli centrali delle Dolomiti.
E’ un ciclo epico che racconta la fine del regno pacifico delle donne e l’inizio di una nuova epoca del dominio e della spada. E’ il canto nero della caduta nell’orrore della guerra.
Il mito racconta che i pochi superstiti sono ancora nascosti nelle viscere della montagna, in attesa che ritorni il “tempo promesso”. Il tempo d’oro della pace in cui il popolo di Fanes potrà finalmente tornare alla vita.
I bambini
Secondo il mito, i sopravvissuti a cui è affidata la rinascita dell’intero popolo perduto, sono bambini.
La loro infanzia rimane sospesa, incastrata nel tempo. Devono nascondersi, altrimenti potrebbero essere uccisi: la guerra non risparmia nessuno. Nemmeno i più piccoli.
Ho cercato di immaginarli e li ho visti nascosti sotto teste di topo, come i bambini disegnati da Herakut, duo tedesco di streetartists che ha lavorato in diversi campi profughi e zone devastate dalle guerre.
I corvi
La scena iniziale è la scena della fine: un campo di battaglia.
Quello che resta degli eserciti, diventa il banchetto dei corvi, ormai svogliati per la troppa abbondanza. I corvi si parlano, prendono le parti del coro, descrivono la battaglia, il frantumarsi di ondate di uomini che seminano corpi a pezzi. Indugiano sulla meraviglia che accompagna la carneficina, il lato ostinato del darsi morte fino al culmine dello sterminio.
La guerra non si vede mai sulla scena. Eppure c’è, restituita al pubblico dal punto di vista degli unici personaggi che ne traggono sempre vantaggio.
Animatronica
Il canto della caduta prevede la presenza in scena di personaggi meccanici progettati e realizzati dalla scenografa Paola Villani, che si inseriscono nella tradizione del teatro di figura ma ne scardinano l’immaginario in quanto la loro movimentazione si basa su tecnologie applicate in animatronica e sull’utilizzo di componentistica industriale per realizzarle.
Il dispositivo costruito per Il canto della caduta, produce la movimentazione di un sistema complesso di leve a cavo attraverso dei joystick meccanici manovrati dalle mani di un’unica attrice.
Mutterrecht
Secondo Kläre French-Wieser, tre passaggi importanti dell’essere umano si sono fusi nell’epos ladino di Fanes:
– Il passaggio dal diritto materno al patriarcato
– Il passaggio da un sistema pacifico a uno belligerante
– Il passaggio dalla cultura del totem (quella dei popoli cacciatori ancora in simbiosi con la natura e che riconoscono nell’animale totem il proprio antenato) alla cultura della miniera e dell’estrazione dalle montagne.
Il mito di Fanes racconta, infatti, di un’età dell’oro in cui esseri umani e natura avevano un rapporto di alleanza che permetteva loro di vivere in pace e prosperità. In questa età dell’oro la guida del popolo era compito femminile. Poi arrivò un re straniero e le cose cambiarono per sempre.
Il pensiero mitico
Il codice di accesso a questo enorme tesoro di saperi stratificati segue però un percorso che procede non per parole, bensì per immagini. Perché il primo linguaggio del pensiero non “parla” attraverso segni di lingua, ma “vede” il valore iconico dei simboli.
Il pensiero mitico non è mai accidentale, emerge all’interno di un preciso sistema organizzato di attività e funzioni divine. La mitologia riflette dunque una struttura concettuale.
Non esiste popolo che non abbia un suo patrimonio peculiare di racconti mitici che narrano le origini dell’universo, degli dei, dell’ordine sociale e offrono immagini a paure e domande ancestrali: chi siamo, da dove veniamo, qual è il nostro destino?
Guardare indietro per andare avanti
Nel saggio di antropologia Il calice e la spada, Riane Eisler indaga le strutture sociali che l’umanità si è data nel corso dei secoli e davanti a una continua epopea di guerre e ingiustizie, apre la riflessione a domande più che mai necessarie: la guerra è parte incancellabile del destino dell’umanità? Cosa ci spinge perennemente alla guerra invece che alla pace? Perché ci cacciamo e perseguitiamo l’uno con l’altro? Il dominio dell’uomo sulla donna è inevitabile? E’ realisticamente possibile il passaggio da un sistema di guerre incessanti e di ingiustizia sociale a un sistema mutuale e pacifico?
Secondo Riane Eisler, le risposte per un futuro migliore potrebbero affondare le radici in quel punto nella preistoria della civiltà europea di cui parla l’archeomitologa lituana Marija Gimbutas, in cui la nostra evoluzione culturale sarebbe stata letteralmente sconvolta.
Archeomitologia
L’approccio dell’archeomitologia è multidisciplinare e unisce l’archeologia descrittiva alla mitologia comparata, al folclore, all’etnologia storica e alla linguistica.
Marija Gimbutas, nel saggio Il linguaggio della Dea, ricostruisce un mondo perduto che corrisponde all’Europa neolitica in cui la presenza del femminile sarebbe stata centrale nella visione del sacro e della struttura sociale. Un’Europa antica molto diversa da quella patriarcale che ha prevalso successivamente, caratterizzata dal predominio del sesso maschile su quello femminile e dalla sopraffazione dei popoli più deboli.
A sostegno delle sue tesi, l’archeomitologa lituana porta le tracce e i simboli che ancora si possono trovare nelle leggende, nei miti, nel folklore, nella spiritualità delle ere successive che conserverebbero la memoria di questa cultura neolitica.
Fonti di pensiero e parole
Ho conosciuto i testi di Riane Eisler e Marija Gimbutas grazie a Giuliana Musso, quando mi ha coinvolto come attrice nel suo progetto La città ha fondamenta sopra un misfatto ispirato alla Medea di Christa Wolf.
Questo nuovo progetto prosegue idealmente il discorso femminista iniziato con la Trilogia sulle resistenze femminili e raccoglie i fili che altre studiose ed artiste hanno tessuto prima di me. Un orizzonte di pensiero e parole che continua incessantemente a tramandarsi nonostante millenni di patriarcato.
Il canto della caduta cerca nuove immagini per antichi problemi e attraverso l’antico mito di Fanes, porta nuovamente alla luce il racconto perduto di come eravamo, di quell’alternativa sociale auspicabile per il futuro dell’umanità che viene presentata sempre come un’utopia irrealizzabile. E che invece, forse, è già esistita.
Marta Cuscunà
https://cantodellacaduta.blogspot.it/