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PALÙ DI LIVENZA: Nuovi risultati e rinvenimenti dallo scavo archeologico del Sito UNESCO

DiRedazione

Set 28, 2020

PALÙ DI LIVENZA, SITO UNESCO

NUOVI RISULTATI E RINVENIMENTI DALLO SCAVO ARCHEOLOGICO

Palù di Livenza, iscritto nei Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, è un archivio archeologico di straordinaria ricchezza e complessità sulla vita nelle aree umide friulane nel corso del Neolitico. L’ultima campagna di scavo ha confermato l’esistenza di tre villaggi palafitticoli sovrapposti tra loro e separati da brevi episodi di abbandono, che hanno restituito, oltre a resti di animali, frammenti ceramici, pintadere e strumenti di selce, due frammenti di asce in pietra levigata dai livelli più tardi di occupazione del sito e, dai livelli più antichi, un piccolo cucchiaio di legno perfettamente conservato, ritrovamento eccezionale e prova della maestria degli artigiani neolitici. 

Quest’anno le ricerche sono state realizzate nel Settore 3 con finanziamento del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia con il coordinamento del Funzionario archeologo dott. Roberto Micheli. Gli scavi, condotti sul campo dalla CORA Società Archeologica srl di Trento, si concluderanno domani dopo un mese e mezzo di attività. Le indagini archeologiche sono state rese possibili grazie alla fattiva collaborazione dei Comuni di Caneva, Polcenigo e Aviano e il supporto del Gruppo Archeologico di Polcenigo. Purtroppo le intense precipitazioni piovose che hanno interessato l’alto Pordenonese nel corso della tarda estate hanno rallentato, quando non sospeso, i lavori, nonostante il sistema di drenaggio di tipo wellpoint in azione.

Obiettivo della campagna 2020 era la messa in luce dei livelli più antichi della stratigrafia del Settore 3, continuando le indagini sul villaggio palafitticolo più antico individuato già nella campagna 2018. Le condizioni di impraticabilità dello scavo  hanno consentito di indagare solo parzialmente i livelli più antichi, lasciando ancora aperti alcuni interrogativi sulle prime fasi di vita dell’abitato di Palù di Livenza.

Le ricerche si concludono con l’auspicio di poter riprendere l’anno prossimo gli scavi grazie a un nuovo finanziamento.

Proposito della Soprintendenza è poter concludere in breve tempo le indagini in questo settore, realizzando una sintesi complessiva dei dati raccolti nel corso delle campagne, iniziate nel 2013, per ricostruire la storia dei diversi abitati individuati in questo sito di grande eccezionalità.

Le strutture palafitticole

Gli scavi del 2020 hanno infatti rilevato l’esistenza di tre villaggi palafitticoli, sovrapposti tra loro e separati da brevi episodi di abbandono. L’ultimo villaggio si può attribuire a una fase tardoneolitica tra il 3900 e il 3600 a.C., mentre quello della seconda fase è riferibile alla cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, databile nei secoli immediatamente precedenti. Non vi sono al momento elementi di attribuzione certa della prima fase di occupazione palafitticola del Palù di Livenza, che può essere datata in via preliminare alla seconda metà del V millennio a.C.

Le indagini hanno messo in luce tre sistemi di fondazione delle palafitte neolitiche che si estendono in un’area circoscritta e pari a soli 48 metri quadrati.

Non si conoscono le caratteristiche delle capanne sopraelevate, ma si è potuto accertare che le palafitte erano edificate su delle spesse travi di quercia che servivano da sostegno degli alzati ed erano disposte sia parallelamente tra loro, sia a formare un reticolo regolare; questo sistema, comune alle tre fasi di abitato individuate, serviva a sostenere le capanne sopraelevate, limitando lo sprofondamento delle abitazioni nei limi naturali del bacino.

I materiali rinvenuti

Come in altri siti neolitici sono numerosi i resti ossei di animali, i frammenti ceramici dei vasi e gli strumenti di selce, ma quest’anno, per la prima volta dall’inizio degli scavi, sono stati raccolti due frammenti di asce in pietra levigata dai livelli più tardi di occupazione del sito. Questi strumenti di pietra erano fondamentali per la trasformazione del legno e la produzione degli oggetti della cultura materiale in un periodo in cui non vi sono prove della lavorazione del metallo.

Anche in questa campagna di scavo le pintadere continuano a essere numerose dagli strati più recenti della fase tardoneolitica. Si tratta di stampi di terracotta che recano su una faccia una superficie decorata da linee incise o in rilievo con motivi curvilinei o lineari, a zig zag e a reticolo. Grazie a questi ritrovamenti, Palù di Livenza è ora uno dei siti neolitici italiani con la più ricca e varia collezione di pintadere proveniente da uno scavo stratigrafico ben documentato.

Di grande importanza sono inoltre i resti organici che si conservano perfettamente  sia allo stato naturale originale che carbonizzati. Le ricerche hanno consentito di raccogliere dagli strati più profondi numerose mele selvatiche carbonizzate, oltre che abbondanti resti combusti di corniolo, ghiande di quercia e di semi di farro che suggeriscono la presenza di scorte alimentari bruciate, forse da un incendio. Inoltre, sono ben attestati i funghi del legno raccolti e utilizzati come esca da fuoco. L’uso di masticare la pece di betulla o altre sostanze resinose è confermato anche dagli scavi 2020.

Un ritrovamento eccezionale effettuato negli ultimi giorni proviene ancora dai livelli più antichi: è un piccolo cucchiaio di legno perfettamente conservato che prova le eccezionali capacità degli artigiani neolitici e un gusto estetico nella lavorazione del legno che esula dalla semplice funzionalità dell’oggetto.

L’acqua costituisce una componente fondamentale del Palù di Livenza e della sua complessità ambientale e idrogeologica. Come avevano capito già gli uomini del Neolitico, non vi sono leggi certe alla sua limitazione, ma solo forme di adattamento temporaneo alle oscillazioni irregolari nel tempo e ciò dipende senza possibilità di un controllo diretto dall’intensità delle precipitazioni che cadono nell’area montana sovrastante l’area umida.

Di Redazione

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