Assistere ad un concerto del mito assoluto della chitarra Pat Metheny comporta sempre un mix di sensazioni che vanno dal puro piacere alla curiosità per questo eterno ragazzo di 70 anni (nasce nel 1954 a Lee’s Summit, Missouri) sempre con il suo proverbiale sorriso stampato sul volto e la sua intramontabile capigliatura leonina.
Oltre 50 dischi incisi, 49 nomination ai Grammy Awards di cui 20 vinti da protagonista, inserito nella Hall of fame di Downbeat, collaborazioni con i più grandi musicisti di tutto il mondo, insegnante presso la prestigiosa Berklee school di Boston, dove si diletta e insegna sin da ragazzo…numeri che testimoniano la sua grandezza e il suo successo senza eguali.
Il nuovo tour da solo (la mia più grande sfida, arrivato a 70 anni, ha detto recentemente in un intervista) fa seguito alla pubblicazione del nuovo album Moondial, che poi è la continuazione ideale dell’altro fortunato album Dreambox del 2023…un lavoro concepito appositamente senza alcuna sovraincisione utilizzando per lo più la sua nuova chitarra baritona, costruita dalla sua collaboratrice Linda Manzer, attraverso la quale grazie ad un sistema di accordatura molto particolare riesce ad ottenere sonorità uniche.
La serata è da tutto esaurito al Giovanni da Udine. Pat non si fa attendere e si presenta subito molto carico e sorridente in felpa e jeans rimarcando il fatto che c’è un legame particolare tra lui e l’Italia e soprattutto con Udine dove nella sua lunga carriera ci ha già suonato per ben 13 volte, tra cui lo scorso anno al Castello.
Il set ha qualcosa di misterioso, con tre installazioni coperte davanti e tre chitarre in vista dietro ad uno strano sipario nero. Si inizia subito alla grande con un omaggio evocativo del periodo con Charlie Haden, e una citazione a David Bowie con This is not America. Le note scorrono ed è una magia che avvolge lo spettatore attento a ogni sfumatura. Pat è padrone assoluto dello strumento e ci delizia anche con vari aneddoti tra un brano e l’altro, raccontandoci la sua storia che parla della sua tradizione musicale familiare, dei suoi primi approcci con la musica, dei suoi amori per Segovia e Jimi Hendrix. La serata prosegue spedita, non mancano certo le sfumature più Jazz e le sperimentazioni, nonché le citazioni di bossanova e poi la musica etnica e ambient. Le chitarre sono le padrone assolute della serata.
La sua baritona, che come spiegherà lui stesso necessita di una accordatura particolare e complessa, al limite della rottura delle corde…la splendida Picasso, una sorta di chitarra/arpa con la quale regala momenti di pura magia sonora.
Poi pian piano si incominciano a intravedere sotto i teli delle installazioni le sorprese, fatte di chitarre semiacustiche ed elettriche, via via si impossessano del palcoscenico e Pat sempre più immerso nel suo nuovo progetto, crea splendidi loop con linee di basso e armonie per poi improvvisarci sopra con tutta la suo proverbiale e inarrivabile maestria.
L’apoteosi sonora arriva quando si alza il sipario e appare letteralmente una band “fantasma” denominata “orchestrion”, ovvero una orchestra elettromeccanica, una selva di bacchette in fila ordinata che si muovono all’unisono, percuotendo pelli, xilofoni, combali etc., pilotata via midi da lui stesso, che si animano come fossero un gigantesco flipper ritmico ritmico dove il mitico Pat si cimenta in brani e improvvisazioni sempre più cariche fino a toccare i momenti più elettrici con la sua Ibanez signature e la sua Guitar Synth.
Dopo ben 4 bis sia acustici che elettrici, Pat saluta affettuosamente tutto il pubblico presente che in piedi e in delirio applaude il genio del Missouri.
Arrivederci a Udine PAT!