Di fronte a una carenza strutturale e ormai cronica di personale medico e infermieristico, la dirigenza sanitaria propone una riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera fondata sui cosiddetti posti letto funzionali. Una soluzione presentata come moderna, flessibile e inevitabile, capace – secondo i promotori – di garantire continuità assistenziale senza aumentare gli organici. L’idea è semplice: non più reparti rigidamente strutturati, ma aree di degenza gestite in modo trasversale, dove più specialisti ruotano sui pazienti in base alle necessità cliniche, ottimizzando l’uso delle risorse disponibili. In questo modello, i posti letto diventano “attivi” indipendentemente dall’appartenenza a una singola disciplina, consentendo alle aziende sanitarie di aumentare la capacità ricettiva senza nuove assunzioni.
Secondo la dirigenza, si tratta di una risposta pragmatica a un contesto di emergenza, aggravato dall’invecchiamento della popolazione, dall’aumento della complessità clinica e da un mercato del lavoro sanitario sempre meno attrattivo. Le stesse istituzioni riconoscono che il deficit di personale non è risolvibile nel breve periodo e che, nell’immediato, l’organizzazione deve compensare ciò che il reclutamento non riesce a garantire.
Dal punto di vista manageriale, i posti letto funzionali permetterebbero una maggiore flessibilità nell’allocazione dei pazienti;
una riduzione dei tempi di attesa;
un utilizzo più “razionale” del personale presente; un aumento delle prestazioni erogate a parità di risorse.
Questa impostazione si inserisce in una visione sempre più orientata a indicatori di produttività, occupazione dei posti letto e volumi di attività, in linea con i modelli di governance suggeriti anche a livello europeo per contenere i costi sanitari.Tuttavia, proprio qui emergono le principali criticità.
Il primo punto debole riguarda la de-specializzazione dell’assistenza. In assenza di un reparto definito, molti medici specialisti si trovano a seguire pazienti decentrati, aumentando il numero di assistiti per professionista e riducendo il tempo dedicato a ciascun caso. Il rischio è una medicina meno approfondita, più standardizzata, lontana dal principio di appropriatezza clinica.
Per il personale infermieristico, la criticità è ancora più marcata. La gestione di pazienti con patologie, livelli di complessità e bisogni assistenziali molto diversi nello stesso contesto richiede competenze avanzate, formazione continua e un numero adeguato di professionisti. In realtà, come segnalato più volte dalla FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), la carenza di organico espone gli infermieri a un sovraccarico assistenziale che incide sulla sicurezza delle cure e sulla qualità del lavoro.
Un ulteriore nodo riguarda il rapporto paziente-professionista. Aumentare i posti letto senza aumentare il personale significa, di fatto, aumentare il carico di lavoro individuale. I dati dell’OCSE e del Ministero della Salute mostrano come l’Italia sia già tra i Paesi europei con uno dei più alti numeri di pazienti per infermiere, una condizione associata a maggior rischio clinico, burnout e abbandono della professione.
Il rischio sistemico è che i posti letto funzionali diventino uno strumento per mascherare la carenza strutturale di personale, trasformando medici e infermieri in semplici unità produttive. In questo modello, la centralità del paziente – principio fondante del Servizio Sanitario Nazionale – viene progressivamente sostituita dalla centralità della prestazione.Le stesse istituzioni internazionali, nei loro rapporti più recenti, avvertono che nessuna riforma organizzativa può sostituire l’investimento sul capitale umano, pena un progressivo deterioramento della qualità dell’assistenza e della sostenibilità del sistema.
La prospettiva dei posti letto funzionali viene proposta dalla dirigenza come la “migliore possibile” in un contesto di scarsità. Ma è una soluzione che presenta debolezze strutturali profonde: aumenta il carico di lavoro, diluisce le competenze, riduce la qualità assistenziale e accelera la disaffezione dei professionisti.
Senza un piano concreto di assunzioni, valorizzazione e tutela del personale sanitario, il futuro che si profila non è solo grigio: è quello di una sanità in cui l’organizzazione prende il posto della cura, e dove numeri e indicatori rischiano di contare più delle persone.
