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Senza lasciarsi cucire le labbra: in memoria di Mamma Erasmus (Di Yuleisy Cruz Lezcano)

DiRedazione

Ott 23, 2025
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Ci sono donne che non si arrendono, non fanno rumore, ma scavano gallerie sotto le montagne che sembravano invalicabili. Guardatele! Sembra che attutiscano con le loro ossa i colpi, non alzano la voce, ma scrivono a penna sulle fondamenta delle istituzioni. Una di queste donne è stata Sofia Corradi, che il 17 ottobre ci ha lasciati, portando via con sé 91 anni di ostinazione luminosa, di sogni testardi trasformati in storia concreta. Nel 1959 era una giovane donna rientrava a Roma con un master in tasca e una valigia piena di sapere americano, libertà di pensiero e ambizione, ma l’università “La Sapienza”, ironia sottile del nome, le sbarrava la strada: quella laurea non vale e la ragazza di allora non ottenne nessun riconoscimento, nessuna equipollenza né apertura. Ad aspettarla solo il muro di un’accademia chiusa nella sua autarchia culturale. Ma dove molti si sarebbero piegati all’assurdo, Sofia Corradi ha fatto dell’ingiustizia subita la culla di una visione e quel rifiuto non l’ha schiacciata, ma l’ha trasformata.

Inizia lì la sua battaglia, invisibile, lenta, faticosa, per il riconoscimento dello studio all’estero, per il diritto alla mobilità del pensiero, per la possibilità concreta che una formazione internazionale non sia privilegio, ma accesso. E nel 1987, quasi trent’anni dopo, nasce Erasmus. A pensarci, vengono i brividi di ammirazione, un nome scelto non a caso: Erasmo da Rotterdam, umanista, viaggiatore, libero pensatore. Ha dato il nome a un programma che oggi ha trasformato milioni di vite, portando studenti di ogni paese a conoscere, amare, contaminarsi. Eppure Sofia Corradi non ha mai pensato all’Erasmus come a una conquista personale.
Era, per lei, un’idea universale: “Non è un programma europeo, è un viaggio mondiale. Un’opportunità per tutti. Perché il diverso non è un nemico, ma qualcuno da cui imparare”. Sono parole che oggi suonano come una lettera d’amore alla possibilità umana di non aver paura, di non aver paura del diverso, del confine, della lingua straniera, della propria ignoranza. E, forse, nemmeno del proprio fallimento.

In fondo, Sofia Corradi è stata l’altra, nel senso più alto della parola. Quell’“Altro” di cui parlava Simone de Beauvoir: la donna non come essere dotato di un’essenza, ma come riflesso dell’uomo, come ciò che lui non è, come ciò che non deve essere. Quell’uomo che non ha paura della sua nudità, ma dei suoi odori, del fatto che lei cammini nel mondo con orma di lupo e trasfiguri con la sua intelligenza il quotidiano. Sofia Corradi non ha accettato di essere l’Altro silenzioso, ma non ha lasciato che le cucissero le labbra, ha graffiato la superficie della burocrazia accademica, ha raschiato i muri del conservatorismo, ha lasciato che il ruggito che cova crescesse nel ventre e si infiltrasse nei liquidi dello sguardo per partorire un’idea. Un’idea non astratta: una rivoluzione legislativa, politica, culturale.

Nel 2021, “La Sapienza” ha cercato di rimediare al torto antico, offrendole un dottorato honoris causa. Sofia risponde con parole che stringono il cuore: “Mi piace che gli studenti mi chiamino mamma Erasmus, è una cosa tenera”. Ma quella dolcezza non cancella la lotta, la madre non è mai solo dolce: è colei che mette al mondo, e spesso con dolore. Il suo parto è stato lungo trent’anni, e oggi siamo noi, figli e figlie di quella visione, a doverne custodire l’eredità. Perché il mondo che ha cercato di escluderla era convinto che una donna non potesse pretendere di cambiare le regole, e lei, invece, le ha cambiate per milioni di giovani. Questa Dottoressa con la “D” maiuscola ha rinunciato alla certezza, ha fatto grandi salti nell’analogia dei sogni, ha creato un’architettura di ponti sopra i mari del pregiudizio. Sofia Corradi è stata una donna del futuro vissuta nel passato, ma ha aperto varchi e lasciato orme. E a lei dedichiamo questo saluto in forma di poesia simbolista.

Parto d’idee; per Sofia Corradi

Lui non ha paura della sua nudità
ma del vento che le scompiglia i pensieri,
dell’odore della pioggia che lei porta dentro,
del suo passo selvatico,
orma di lupo sull’asfalto dei ministeri.

Lei,
non domata e non domabile
trasforma ogni no in seme,
ogni muro in soglia.
Lascia che il ruggito salga dal ventre
e si faccia verbo,
e si faccia legge.

Raschia la superficie
con graffi e visioni,
con urla spezzate in sillabe precise,
con occhi che attraversano le frontiere
senza mai chiedere il permesso.

Lei non è l’Altro ma l’inizio.
È la voce che non si spegne,
la madre che partorisce il viaggio,
il sogno che cammina con la valigia
e non torna mai indietro.

Di Redazione

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