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Apertura del 36° Festival del Cinema Ibero-Latino Americano, 6 novembre, ore 20.00

DiRedazione

Nov 5, 2021

La versione restaurata di El Tango del viudo di Raúl Ruiz
apre il 36° Festival del Cinema Ibero-Latino Americano Nove giorni di film tra il Museo Revoltella, il Museo della Comunità Ebraica e la Sala Luttazzi
Al via anche la visione dei film in streaming su Mowies e su Efilm

La Cerimonia di Apertura del XXXVI Festival del Cinema Ibero-Latino Americano si terrà sabato 6 novembre 2021, alle ore 20, nel Museo Revoltella (via Armando Diaz 27). L’ingresso è gratuito, ma per questioni di sicurezza e di tracciamento anti-covid, chi intende essere presente alla serata deve mandare il proprio nominativo e quello di eventuali accompagnatori all’email latinotrieste@yahoo.com. I giornalisti dovranno inviare il nominativo proprio e di eventuali accompagnatori all’email press@cinelatinotrieste.org. Si potrà assistere alla cerimonia solo se in possesso del Green Pass e di mascherina.

Il Direttore Artistico del Festival Rodrigo Díaz introdurrà la serata e presenterà il programma della 36° edizione. Al termine dei saluti, alle ore 21, la proiezione del primo Evento Speciale: la versione restaurata del film cileno El tango del viudo y su espejo deformante di Raúl Ruiz, vista finora solo al Festival di Berlino 2020. Il film, girato nel 1967 e opera prima del maestro franco-cileno, era andato perduto poco dopo la sua realizzazione; nel 2017 fu trovata casualmente una copia, priva di audio, in un vecchio cinema di Santiago. Con un lavoro minuzioso e certosino, la vedova del regista Valeria Sarmiento e un gruppo di collaboratori sono riusciti a recuperare i dialoghi grazie allo studio dei movimenti labiali degli attori. A Berlino la prima di quest’opera straordinaria, a Trieste la prima volta dopo la pandemia.

La storia di El tango del viudo ruota intorno a un uomo la cui moglie si suicida e gli appare poi sotto forma di fantasma. Questo fantasma lo segue ovunque, sotto il letto, sotto i tavoli… A forza di frequentare il fantasma, l’uomo comincia ad assomigliargli, in una spirale in cui scopriamo che in realtà non è mai stato sposato e che si tratta semplicemente di uno sdoppiamento di personalità e di un gioco schizofrenico.

La Cerimonia di Inaugurazione dà il via a nove giorni di cinema che porteranno a Trieste oltre 90 film provenienti dall’America Latina, dalla Spagna e dal Portogallo. Diverse le sedi che ospiteranno la manifestazione: la sezione a tema ebraico Shalom, il sentiero ebraico in America Latina si terrà per tutta la giornata di domenica 7 novembre 2021 nel Museo della Comunità Ebraica ‘Carlo e Vera Wagner’, a partire dalle ore 10. Da martedì 9 novembre, le proiezioni saranno nella Sala Luttazzi del Magazzino 26 del Porto Vecchio e al Museo Revoltella.

Parte del Festival sarà anche in streaming, sulle piattaforme Mowies (https://home.mowies.com/) ed Efilm (https://efilm.online/), tutte le informazioni per vedere i film in streaming su https://www.cinelatinotrieste.org/festival2021/programma-online.

Il Cinema di Raúl Ruiz
Avventurarsi nel cinema di Raúl Ruiz può portare a un viaggio senza ritorno o a un vagare in un labirinto pieno di sorprese, stupori e perplessità. Forse un approccio diacronico potrebbe fornirci, se non chiavi di interpretazione, almeno indizi, tracce, segni che potrebbero illuminare il cammino. La sua carriera iniziò in Cile, il suo paese natale, dal quale fu bandito dal colpo di stato militare fascista finanziato dagli USA. Questo è importante per capire alcuni dei temi e delle ossessioni dei suoi film. Continuò il suo percorso in Costa Rica, Francia, Portogallo, ecc. È El cuerpo repartido (il corpo distribuito), come chiama uno dei suoi film.
Cinema di minoranza? Forse, ma purtroppo quasi tutta la grande arte ha finito per essere minoritaria. Un desiderio manifesto di essere difficile o complicato? Niente del genere, ma piuttosto il desiderio di fornire allo spettatore una prova: la prova che è stato sottoposto a un insieme di convenzioni inventate dall’industria che ci dicono che i film devono essere in un certo modo, con una trama centrale, uno sviluppo, un epilogo consolatorio o disperato e alcuni personaggi che reagiscono secondo una certa logica di causa ed effetto. In altre parole, ci vestiamo delle abitudini imposte dal potere egemonico dei distributori cinematografici internazionali.
Fin dalle sue origini di artista, Ruiz ha reagito contro questi schemi. Prima nel teatro, un genere in cui – non sorprendentemente per lui – scrisse più di cento opere. Lì militava con Ionesco, Becket, Adamov in quell’azione sovversiva contro i luoghi comuni, il linguaggio vuoto, la logica causale, i drammi prefabbricati. (…)
Per Ruiz si trattava di qualcosa di più del cinema. Era un modo di essere nel mondo e di cercare di capirlo al di là dei pregiudizi o delle “verità” assunte dall’abitudine. “Ogni volta che mi viene detto qualcosa, penso immediatamente al suo contrario”, diceva. Un modo sintetico di esprimere un pensiero dialettico che emerge costantemente nei suoi film. Per esempio, quella che potremmo chiamare „la cilenità”, qualcosa di difficile da comprendere, compito in cui artisti, sociologi, psicologi e altri specialisti non hanno ottenuto molto successo. Il regista svela, rivela, analizza e ci dà uno specchio della cilenità in Tre tristi tigri. Come non riconoscersi in questo mondo classista, irresponsabile, alcolizzato, violento, balbuziente, assurdo, ma poeticamente gretto, in fin dei conti? Ripeterà questo sguardo antropologico con Palomita Blanca, libero adattamento di un romanzo, che fu tenuto in ostaggio dalla dittatura per quasi vent’anni a causa delle sue rappresentazioni dirette della violenza politica che il Cile stava vivendo nei primi anni ’70. Il suo cinema politico era paradossale, lucido e stranamente preveggente. Anche prima del colpo di stato militare. In “Il Realismo Socialista” ha riprodotto alcune delle esperienze del partito di cui era membro: lotte per il potere, meschinità, malafede, trafitte da un umorismo assurdo. Militarismo e tortura, realizzato quattro anni prima del colpo di stato, è un piccolo film oscuramente profetico, nonostante il suo simbolismo stilizzato e l’umorismo nero. Caratteristiche simili si ritrovano in La colonia penal, che, pur ispirandosi a Kafka, parla dell’America Latina e ci introduce al personaggio del dittatore e agli orrori che il Cile inizierà presto a vivere.
Da poco insediatosi nel suo esilio parigino, filma Dialogo di esiliati, in cui, insieme al pathos della situazione vissuta da un gruppo di cileni, fa riferimento al regolamento di conti e alle liti del partito, le stesse che hanno facilitato il rovesciamento del governo cileno.
Uomo di cultura enciclopedica, si è insediato nell’esigente mondo della cultura francese, inducendolo a ripensare costantemente alle sue fonti: attraverso il suo Piccolo manuale della storia di Francia, che è probabilmente una reinterpretazione mitica, e un adattamento di Berenice, il classico di Racine, fatto di ombre e riflessi. Notevole fu la sua alleanza con quell’enorme figura che fu Pierre Klossowski, in un’amicizia che fu anche complicità nell’adattare due delle sue opere per il cinema: La vocazione sospesa, un’esplorazione teologico-filosofica; e Ipotesi del quadro rubato, un gioco allucinatorio di specchi e labirinti. Ma forse la più grande audacia del cineasta cileno è stata quella di avventurarsi nell’esplorazione di quell’icona francese che è Marcel Proust, davanti a cui altri grandi si erano ritirati (tra cui Luchino Visconti e Joseph Losey), adattando Il tempo ritrovato con fedeltà e finezza ineccepibili. Con questo film poteva già contare sull’appoggio entusiasta di attori emblematici come Catherine Deneuve, Marie-France Pisier, Emmanuelle Beart e John Malkovich, ai quali si sarebbero aggiunti in altri film Anna Karina, Michel Piccoli e Marcello Mastroianni. (…)
Il suo film postumo, La noche de enfrente, adatta i racconti di Hernán del Solar, un autore che ha segnato la sua infanzia. Nel suo ritorno, Ruiz cercò di recuperare gli aspetti più validi del paese perduto, dimostrando alle nuove generazioni che poco si può costruire sulle rovine culturali di un paese devastato dall’ideologia dell’effimero.
Un grande compito attendeva questo instancabile creatore quando sopraggiunse la sua morte. Per quelli di noi che sono ancora vivi, il compito è quello di ripercorrere un’opera le cui molteplici dimensioni sono sconfinate.
(da Il cinema di Raul Ruiz dello scrittore e cineasta José Román per il catalogo del 36° Festival del Cinema Ibero-Latino Americano di Trieste)

Di Redazione

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