Inconfondibile e travolgente il rock-blues in bisiacco della band goriziana: uno spaccato dissacrante di vita di provincia tra satira, AC/DC e il dialetto come ‘faro sull’identità’. Produce Antonio Gramentieri
Mulo de paese: tornano Marongiu & I Sporcaccioni!
MULO DE PAESE
Marongiu & I Sporcaccioni
Boogie Records 2020
Presentazione
Venerdì 6 marzo 2020
Tiki Taka
Via Grado, 64
Monfalcone (GO)
«Non credo affatto che il dialetto sia un limite ma anzi, un prezioso faro sull’identità». Affermazione lapidaria ma più che condivisibile, quella di Claudio Marongiu, fondatore e leader di Marongiu & I Sporcaccioni, che combinando ancora una volta rock-blues e dialetto “bisiacco” pubblicano con Boogie Records il terzo disco, l’atteso Mulo de paese. Atteso perchè giunto al culmine di un percorso di notevole attività in studio e dal vivo, di crescita musicale e di apprezzamenti da parte di pubblico e critica dopo i primi due dischi Una vita in panchina (2017) e Austria e puttane (2018). Anticipato dal singolo Isons, in anteprima su RadioCoop, Mulo de paese conferma l’originalità del quintetto goriziano, che unisce humour e serietà, approccio dissacrante e consapevolezza musicale.
La peculiarità del rock di Marongiu & I Sporcaccioni è la scelta vernacolare. La band proviene dalla provincia di Gorizia, dall’insieme dei paesi costituenti la “bisiacaria”, e la motivazione di Marongiu nell’unire rock e dialetto parte da lontano: «Sono stato un pessimo studente e i genitori mi hanno forzato ad accettare lavori di fatica che spesso non ero in grado di svolgere. Turnazioni notturne in una fabbrica di valvole, un’ altra di bulloni, brevi e disastrose parentesi nel mondo delle Poste, un po’ di tutto e molto male. Da questo marasma di esperienze però è nata un’ esigenza sincera di scrivere canzoni che non fossero né il solito diarietto da universitario al primo anno, né un’adesione faziosa al terribile mondo delle Pro Loco. In sostanza, avevo intuito di poter essere più credibile – e felice – urlando nel mio dialetto che in modalità espressive trite e alienate».
Mulo de paese rilancia dunque le canzoni apparentemente demenziali e sgangherate, in realtà efficaci nel fotografare la vita di provincia sulle rive dell’Isonzo e i personaggi che la animano, con una scelta di fondo: sonorità che partono dagli AC/DC e arrivano agli Skiantos, senza dimenticare la comunicazione più diretta. Ricorda Marongiu: «Scartabellando fra i cd in offerta al fu Mercatone Zeta, a quindici anni portai a casa Powerage degli AC/DC e tutto iniziò. Ero completamente estraneo a un certo senso di tragressione, a casa si ascoltava Radio Birikina, ma quel suono di chitarre grandissimo – nel senso di una vastità psicoacustica – che arrivava dall’Australia mi colpì al cuore. Ora però sto cercando di unire Radio Birikina con gli AC/DC, dire pop non è spregiativo ed apprendere che quel pop Italiano era confezionato benissimo e beneficiava di interpreti di altissima levatura è una piacevole riscoperta».
In studio di registrazione I Sporcaccioni hanno avuto collaborazioni importanti, da Franco Beat a Joe Perrino e in particolare Antonio Gramentieri, in arte Don Antonio. Il chitarrista, noto anche all’estero per il suo lavoro con Hugo Race, Howe Gelb, Alejandro Escovedo e Cesare Basile, ha prodotto anche i quattordici brani di questo terzo album: «Antonio è un generoso e gli piacciono le sfide, sicché penso che l’idea di prendere (nel caso nostro) un gruppo incompiuto – ma con una poetica e un potenziale a lui congeniali – e mettere le proprie conoscenze a disposizione del progetto, l’abbia in una certa misura divertito. Serba anche una visione pura della musica e dell’arte, sicché se ha detto di “sì” agli Sporcaccioni non l’ha fatto per questioni venali, così come da parte nostra non c’è stato alcun calcolo di sfruttamento della sua rotonda immagine. Ha riscattato la nostra piccola carriera e rilanciato un gruppo che nonostante si esibisse regolarmente da decenni, non era ancora riuscito a registrare un buon disco».
Claudio Marongiu – voce
Andrea Farnè – basso
Gioppi Bertossi – chitarra
Enrico Granzotto – tastiere
Michele Cuzziol – batteria
MARONGIU & I SPORCACCIONI
Marongiu & I Sporcaccioni sono un gruppo rock blues che si esprime in dialetto bisiaco (o bisiacco) attivo dal 2004. Provengono da Turriaco, dalla provincia di Gorizia, nello specifico dall’insieme dei paesi costituenti la “bisiacaria”. Il cognome Marongiu è di origini sarde e fa riferimento al fondatore del gruppo.
Celebri e discussi per i live incendiari scolpiti nella memoria degli autoctoni – benché privi di un prodotto discografico che ne restituisca la magia –, a maggio del 2015 aprono un concerto dei Rumatera a Trieste, e restano folgorati dalla fusione di dialetto veneziano da una parte e gestione professionale del palco dall’ altra. Lentamente e procedendo per tentativi, irrobustiscono la loro esperienza di studio con il debutto Una vita in panchina (2017 – mixato da Stefano Pivato) e subito dopo nel 2018 registrano al CosaBeat Studio di Villafranca di Forlì il seguito Austria & Puttane, con il chitarrista e produttore Antonio Gramentieri (Don Antonio, Sacri Cuori, Alejandro Escovedo etc.), che avvalendosi di una squadra di solidi musicisti riesce a catturare l’ essenza ruvida e poetica del quintetto.
Il gruppo ha partecipato a diversi concorsi ottenendo un buon responso di pubblico e critica: menzione speciale per il secondo posto – per due edizioni consecutive, 2017 e 2018 – al Pordenone European Blues Contest con Mama Blues e Sensa l’amor.
Galvanizzati dalla buona accoglienza ricevuta dai primi due dischi, a novembre del 2019 i muli rientrano in studio per registrare Mulo de paese, sintesi completa dell’epos del barbaro popolo bisiacco. Al timone c’è sempre Don Antonio, con Francobeat in regia e Roberto Villa a mettere a disposizione la Sala d’Incisione L’Amor Mio Non Muore (Carpena, Forli’), dove il sistema analogico presiede il digitale e non viceversa. Ne escono tredici pezzi di grande immediatezza, anticipati dal video di Isons, in anteprima su Radiocoop.
SITO UFFICIALE: http://www.isporcaccioni.it
FACEBOOK: https://www.facebook.com/SporcaccioniBisiachi/
SITO, GRAFICHE E ARTWORK: http://bheance.net/juliangudowski
UNA CONVERSAZIONE CON MARONGIU & I SPORCACCIONI
1)Marongiu & I Sporcaccioni, partiamo da queste due entità.
Claudio Marongiu è il fondatore ed autore delle canzoni dei Sporcaccioni. Senza un gruppo però non andrebbe da nessuna parte, essendo egli cantante autodidatta che non sa leggere la musica né suonare alcuno strumento (per pigrizia, non per disinteresse). È altresì vero che con gli anni i musicisti intorno a lui sono cambiati, gli hobbisti della domenica non erano più sufficienti e allora li ho sostituiti sempre con degli hobbisti, ma un po’ più motivati.
2) Perché la scelta di cantare in dialetto bisiacco?
Sono stato un pessimo studente e i genitori mi hanno forzato ad accettare lavori di fatica che spesso non ero in grado di svolgere. Turnazioni notturne in una fabbrica di valvole, un’ altra di bulloni, brevi e disastrose parentesi nel mondo delle Poste, un po’ di tutto e molto male. Da questo marasma di esperienze però è nata un’ esigenza sincera di scrivere canzoni che non fossero né il solito diarietto da studente universitario al primo anno, né un’adesione faziosa al terribile mondo delle Pro Loco. In sostanza, avevo intuito di poter essere più credibile – e felice – urlando nel mio dialetto che in modalità espressive trite e alienate.
3) C’è anche un legame speciale con la Sardegna…
Mio padre è di origini Sarde ma culturalmente milanese, io ci sono stato solo nel 1993, dunque per me la Sardegna va acquistando quel senso mitologico che deve aver preso per certi Ebrei ashkenaziti la terra di Israele vista e idealizzata dal nord Europa. Sono dunque aperto a qualsiasi delusione, illusione o visione a riguardo. È come una tabula rasa su cui riversare le mie fantasie letterarie. Di recente ho scoperto alcuni artisti Sardi in carne ed ossa come Joe Perrino, una voce potentissima filtrata da una tristezza per assurdo Mitteleuropea.
4) Quali sono i gruppi senza i quali la vostra band non sarebbe mai nata?
Scartabellando fra i cd in offerta al fu Mercatone Zeta, a quindici anni portai a casa Powerage degli AC/DC e tutto iniziò. Ero completamente estraneo a un certo senso di tragressione, a casa si ascoltava Radio Birikina, ma quel suono di chitarre grandissimo – nel senso di una vastità psicoacustica – che arrivava dall’Australia mi colpì al cuore. Ora però sto cercando di unire Radio Birikina con gli AC/DC, dire pop non è spregiativo ed apprendere che quel pop Italiano era confezionato benissimo e beneficiava di interpreti di altissima levatura è una piacevole riscoperta.
5) Il vostro rock blues e i testi sono dissacranti e incendiari, come nasce la vostra scrittura?
Non c’è un ordine preciso, dipende da brano a brano. Se prendiamo ad esempio Leccar la mona, avevo in testa da anni questa melodia e un amico (Paolo) ne ha trascritto gli accordi dando ordine all’idea. Me li ha fatti sentire e il testo l’ho scritto in pochi minuti. I soliti noti l’hanno subito tacciato di banalità, ma per me quella musica era perfetta per celebrare il cunnilingus (che penso sia una cosa serissima che va fatta ove vi siano i presupposti). Altre volte arriva prima il testo e quando succede in genere è più melanconico rispetto a quando ho in testa una melodia o un riff allegro prima delle parole.
6) Dal 2004 ad oggi sul vostro cammino si sono aggiunti importanti professionisti come Antonio Gramentieri e Franco Beat. Come sono nate queste sinergie?
Antonio è un generoso e gli piacciono le sfide, sicché penso che l’idea di prendere (nel caso nostro) un gruppo incompiuto – ma con una poetica e un potenziale a lui congeniali – e mettere le proprie conoscenze a disposizione del progetto, l’abbia in una certa misura divertito. Serba anche una visione pura della musica e dell’arte, sicché se ha detto di “sì” agli Sporcaccioni vi assicuro che non l’ha fatto per questioni venali, così come da parte nostra non c’è stato alcun calcolo di sfruttamento della sua rotonda immagine. Ha riscattato la nostra piccola carriera e rilanciato un gruppo che nonostante si esibisse regolarmente da decenni, non era ancora riuscito a registrare un buon disco. Franco Beat è stato il fonico di studio dei nostri due dischi prodotti da Antonio e aldilà della sua conclamata erotomania, lavora in perfetta simbiosi con Antonio, così come il proprietario dello studio L’ Amor Mio Non Muore che è il pacioso Roberto Villa.
7) Muli de paese è il vostro terzo disco, come si colloca all’interno della vostra discografia?
È più una raccolta di canzoni che un disco in senso concettuale. Abbiamo registrato senza particolari pressioni, ma quel che davvero ci aspettiamo è di suonare anche nelle piazze della nostra regione. Abbiamo fatto esperienza su palchi Veneti importanti aprendo concerti di artisti come Catarrhal Noise, John See a Day ed Herman Medrano & Kalibro – imparando da loro parte del mestiere -, per cui cosa aspettate a chiamarci, matusa della politica locale?
8) Mulo de paese, perché questo nome?
In bisiacarìa per intendere ‘ragazzo’ si dice ‘mulo’. Mulo lo si usa in particolare rivolgendosi all’adolescente, che è il nostro soggetto principale. Ora che la distanza anagrafica – e di pathos – fra me e questo periodo così complesso eppure sommamente banale si sta facendo considerevole (vado per i quarant’anni e non per i trenta come il protagonista della canzone!), ho l’ardire di poterlo spiegare a chi si accinge ad affrontarlo (ovviamente senza alcuna pretesa pedagogica). Il mulo è un incrocio dell’asino e quale altro animale, refrattario agli insegnamenti, assomiglia così tanto al teenager?
9) Siete ben noti per i vostri irriverenti live, come costruite i vostri concerti?
I Sporcaccioni prima maniera erano totale improvvisazione in un senso allegramente deleterio. Strumenti scordati, stonature intollerabili, cacofonie involontarie ma la grande energia di quella gioventù che passa una volta sola. Ora quegli accessi ormonali sono indubbiamente in calo, ma la musica è cresciuta di qualità. E c’è tanto amore per le canzoni. Nella formazione attuale tutti ci credono, a queste canzoni. Si decide una scaletta, alcuni brani restano piuttosto immutabili nella struttura e nelle dinamiche, mentre su altri – due o tre a serata – ci permettiamo quelle scorribande nell’Altrove musicale che i capisaldi del rock abitano ogni sera. A volte il gioco riesce, altre è un fallimento da cui si impara pur qualcosa.
11)Inevitabile: progetti per il futuro?
Se sbandierare le proprie vicende personali in una sorta di confessionale è uno sport fin troppo praticato, non posso negare che alcune tragedie che mi sono occorse di recente mi stanno portando soltanto a desiderare di fare della buona musica – o intrattenimento di qualità che dir si voglia –, ad ampliare la tipologia dei nostri fan e a suonare un po’ dovunque in Italia, perché non credo affatto che il dialetto sia un limite ma anzi, un prezioso faro sull’identità.