LA BOHEME
COMUNE DI ROVIGO
ASSESSORATO ALLA CULTURA
TEATRO SOCIALE DI ROVIGO
IL SOGNO CH’IO VORREI SEMPRE SOGNAR!
Stagione Lirica
venerdì 12 gennaio 2024 ore 20.30
domenica 14 gennaio 2024 ore 16.00
LA BOHÈME
opera in quattro quadri
musiche di Giacomo Puccini
libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
PERSONAGGI E INTERPRETI
Mimì Claudia Pavone / Caterina Marchesini
Musetta Giulia Mazzola
Rodolfo Galeano Salas / Davide Tuscano
Marcello Jorge Nelson Martinez
Schaunard William Hernandez
Colline Alejandro Lopez Hernandez
Benoît/Alcindoro Enrico Di Geronimo
Parpignol Bruno Nogara
Sergente dei doganieri Francesco Toso
maestro concertatore e direttore d’orchestra Francesco Rosa
regia Bepi Morassi
scene e costumi Fabio Carpene
light designer Jenny Cappelloni
Orchestra di Padova e del Veneto Coro Lirico Veneto
maestro del coro Giuliano Fracasso
Coro di voci bianche A.Li.Ve.
maestro del coro di voci bianche Paolo Facincani
Nuovo allestimento Coproduzione Comune di Padova Teatro Sociale di Rovigo Teatro Mario Del Monaco di Treviso
Il nuovo anno inizia con il capolavoro pucciniano della Bohème. Venerdì 12 gennaio alle 20.30 al Teatro Sociale di Rovigo andrà in scena questa tradizionale opera che nasce da una sfida fra Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo, i quali gareggiarono a scrivere contemporaneamente due opere omonime tratte dalla stessa fonte e di cui solo quella pucciniana ebbe ed ha tuttora un successo planetario. La nuova produzione Teatro Sociale di Rovigo, Comune di Padova e Teatro Mario Del Monaco di Treviso con allestimento ispirato ad una Parigi in evoluzione dalla quale emerge chiaramente che i Bohèmien così come erano narrati non possono esistere più, porta in scena alcune stelle della lirica odierna: Claudia Pavone nel ruolo di Mimì e Galeano Salas nel ruolo di Rodolfo, affiancati in secondo cast dai giovani e promettenti vincitori delle audizioni 2023 Davide Tuscano come Rodolfo in Caterina Marchesini come Mimì. Completano il cast alcune giovani interessanti voci: Giulia Mazzola per il ruolo di Musetta, recentemente acclamata in Arena di Verona al Galà Domingo, William Allione Hernandez nel ruolo di Schaunard, Alejandro Lopez Hernandez nel ruolo di Colline, Enrico Di Geronimo nel ruolo di Benoit/Alcindoro, Bruno Nogara nel ruolo di Parpignol e Francesco Toso nel sergente dei doganieri.
Alla guida dell’orchestra di Padova, del coro Lirico Veneto e del Coro di voci bianche A.Li.VE. la bacchetta di Francesco Rosa, raffinato interprete verdiano e Pucciniano, recentemente reduce di un personale successo con il Trovatore sempre a Rovigo. La regia è di Bepi Morassi, scene e costumi di Fabio Carpene.
L’opera andrà in replica domenica 14 gennaio. Oggi l’anteprima studenti alle ore 16.
L’OSCURA PROFONDITÀ DELL’ANIMO UMANO note di regia di Bepi Morassi
E così rieccoci alla amatissima Bohème, forse il titolo che più mi “accende” al di fuori dell’indissolubile primo amore che è indubbiamente Rossini. Forse e paradossalmente l’altra faccia, bellissima e perfetta, della mia fascinazione per il fenomeno teatrale. Da un lato l’abilità inimitabile della creazione di un meccanismo teatrale perfetto, senza l’orpello di esagerati coinvolgimenti sentimentali ma nella sintesi assoluta di teatro totale in cui il senso del libretto viene frantumato e quasi del tutto annullato in un bilanciamento fra lo sviluppo dell’azione e il vortice astratto della musica, con esiti che esaltano, dandole nuova vita, la tradizione comica italiana con un rapporto musica-testo perfetto in una unitarietà organica che fa coincidere perfettamente le convenzioni musicali del melodramma e le esigenze drammatiche dell’azione. Dall’altra l’emozione assoluta, totale, un carico esplosivo di turbamento passionale che colpisce attimo dopo attimo l’animo dello spettatore in un percorso di commozione inteso proprio nel suo pieno senso etimologico, ovvero di muovere insieme il sentimento più profondo. La storia di questi poveri sei ragazzi destinati sin dall’inizio al fallimento delle loro esistenze è forse anche un pretesto per una discesa nella più oscura e terribile profondità dell’animo umano. In questo Puccini qui ha, credo, toccato il vertice più alto della sua sapienza creativa ma anche compositiva. Ed anche in questo senso qui siamo di fronte all’esatto contrario di un meccanismo teatrale di pura astrazione concepito in un preordine in qualche modo razionale. Qui appare piuttosto la grande capacità di tradurre in pagine musicali universali ed eterne un groviglio emotivo che si fa storia e racconto. Racconto, di fatto, di tutta una serie di fallimenti che inevitabilmente conducono al tragico e definitivo esito finale. E’ una storia d’amore o di amori? Mah! Avrei i miei dubbi. Ognuno è alle prese con le sue aspirazioni, d’amore o artistiche o professionali, e tutti le mancano. E lo spettacolo, che pure c’è e siamo qui a fare, che nasce da questa drammaturgia, e magari anche vivacissimo, non può però scordare che stiamo raccontando un po’ una ineluttabile quanto inevitabile inabissamento che non a caso viene sancito dalla morte della creatura più indifesa. E pure il grande affresco di Momus è un mondo che ride ma in attesa, non a caso, dell’Enfer. Ed è un mondo non di crinoline e merletti e gioielli, ma di flanelle, di cotonacci, di bambini che sono più Oliver Twist che il piccolo Lord Fauntleroy. Raccontiamo insomma un mondo che vorremmo recuperasse un aspetto più vero e anche per questo (forse, sia detto senza presunzione e logicamente riferito all’opera) più eterno. Meno di artificio e di decorazione, insomma. In questo senso, sono sempre stato convinto dell’inutilità e addirittura del danno di un esagerato complesso rappresentativo e di allestimento di quest’opera (ma non solo), che finisce per ridurla a un racconto collocato storicamente che finisce con l’impoverirla. Mi pare più interessante un’idea di suggerire un’ambientazione più che di descriverla minuziosamente in una sorta di frenesia compulsiva di puntigliosa saturazione estetica. E’ un po’ questo il senso di una struttura scenica che si trasforma, indica situazioni diverse, suggerisce e consente un continuo divenire che accompagna ma di fatto è sempre lei, immanente e presente e immutabile. Come un destino segnato, in qualche modo. A Parigi siamo certamente, e quindi indichiamolo. E siamo in un ambiente che ne è una delle cifre urbanistiche e di volume più note, un faubourg sviluppato in altezza. Dentro e fuori, con decori e dipinti e arredi questi sì, accennati ma dichiaratamente parigini. Perché anche questa è una cosa che mi sono spesso chiesto. Se è una soffitta (che anche qui c’è, ovviamente), sarà prima di tutto una parte di qualcosa di più ampio, una chiusura di diaframma fotografico come una sorta di “finestra sul cortile” al contrario. E poi avrà attorno qualcosa, e poi ancora non potrà essere il Salone delle feste di Versailles e insomma sarà una piccola porzione, soffitta e persone, di un mondo che la circonda. E in essa i “nostri” agiranno il più normalmente possibile ma a volte con parossismi coreografici scaturiti dall’esigenza di liberare un’energia compressa. E intorno segni di gente che passa, che entra ed esce, che vive da quelle parti, in sintesi. Come Mimì che, forse, non compare così, all’improvviso, catapultata da una mera necessità drammaturgica. Così come Benoit, che magari, prima di andare a riscuotere l’affitto, va a buttare l’occhio in un altro appartamento su quella scala che Mimì salirà più volte e che ha affittato a tre ballerine anche loro un po’ sfigate. Ballerine che anche Marcello ogni tanto spia dal buco della serratura. Attorno a questo “palazzo”, si muove quella vita di cui dicevamo. Un vita che sarà costretta anche ad assistere involontariamente alla fine di tutto, la morte di Mimì. Un palazzo che, appunto, si trasforma, che contiene la soffitta ma anche in cui lavora al pian terreno Madame Momus, e che poi dovrà diventare il “cantiere” dell’Enfer – che non dimentichiamo fu uno dei primi Cabaret parigini – ma in cui comunque i personaggi vorranno finire la loro sciagurata vicenda anche se, in uno tragico spasmo di terrore finale, lasceranno incustodito il corpo esanime di Mimì.
La Stagione 23.24 del Teatro Sociale di Rovigo è sostenuta da:
Ministero alla Cultura, Regione del Veneto, Comune di Rovigo.
Sponsor: Camera di Commercio di Venezia Rovigo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Banca del Monte di Rovigo, Fondazione Rovigo Cultura, Adriatic Lng, Banca del Veneto Centrale, Asm Set, Irsap, Coldiretti. Technical partner PlayPiano pianoforti, Pasticceria Borsari, Gelateria Godot. Media partner La Piazza.
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Telefono 0425 25614
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Informazioni
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telefono 0425 25614 – e mail teatrosociale.botteghino@comune.rovigo.it
Orari di apertura
9.00-13.00 / 15.30-19.30
giorni di spettacolo:
• mattutini 8.30/13.00 – 15.30/19.30
• matinée 9.00/13.00 -15.00/19.30
• serali 9.00-13.00 / 15.30-22.30
Giorno di chiusura: domenica.
Aperto nei giorni di spettacolo domenicale con chiusura il lunedì successivo.
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