Se c’è un ruolo professionale che evolve in modo più rapido e più concreto rispetto agli altri, quello è senz’altro il CIO. Figura assolutamente nuova e considerata per poche aziende a qualche anno fa, è diventata oggi ormai una figura indispensabile per tante imprese, che non possono più fare a meno del proprio direttore informatico.
Il motivo è semplice: senza le giuste “informazioni” – rappresentate dalla seconda “I” di CIO – nessuna decisione può esser presa. Spinto dall’innovazione continua delle tecnologie, il Chief Information Officer vede cambiare senza sosta strumenti, opportunità, richieste, competenze. Si tratta certo del medesimo responsabile delle tecnologie inerenti l’informazione e le comunicazioni aziendali di qualche anno fa; ma se un tempo, quando questo figura fu introdotta, il CIO era un mero tecnologo, oggi si ha piuttosto a che fare con una figura centrale nello sviluppo delle strategie di business aziendale.
Già nel 2016 un’indagine di Forbes – la CIO Transformation Survey – divideva il ruolo del CIO in 4 archetipi: si parlava di transformers (trasformatori) di advocates (sostenitori), di servicer (servitori) e infine di plumpers (idraulici), ovvero di professionisti chiamati unicamente a mantenere in funzione il sistema corrente.
Già 7 anni fa risultava chiaro che le compagnie più digitalmente mature erano quelle che potevano contare su CIO nei ruoli di trasformatori e sostenitori.
E l’evoluzione del CIO sta continuando.
Il problema, come sottolinea Carola Adami, co-fondatrice della società di head hunting e di sviluppo di carriera Adami & Associati, è che «spesso i CIO non riescono a mantenere il passo dei nuovi sviluppi tecnologici e quindi delle nuove richieste ed esigenze delle imprese».
A confermare le parole dell’head hunter c’è per esempio un’indagine del 2023 di Forrester: qui si dice che il 58% dei CIO è ancora intrappolato nel ruolo di “guida informatica”, con solo una fetta marginale del 6% definibile come “future fit”.
«Le imprese più innovative, le realtà che stanno affrontando di petto la digital disruption e che desiderano sfruttare a proprio favore ogni nuova opportunità tecnologica, cercano dei CIO dotati di velocità di crescita, di flessibilità, di grande attenzione per le nuove richieste aziendali: insomma» sintetizza Carola Adami «la figura che si cerca in questi casi è quella di un vero leader digitale trasformativo e strategico». E se questa per oggi è un’esigenza di una minoranza delle imprese, domani sarà invece comune e diffusa, tracciando una nuova soglia minima di competenze tecniche e soprattutto trasversali.
«Se il CIO di oggi deve aver essersi già lasciato alle spalle l’approccio da “idraulico” come definito da Forbes anni fa, quello di domani deve assolutamente diventare un “abilitatore”, con l’attenzione che si sposta all’infuori delle pure competenze tecniche informatiche» pur senza dimenticare, spiega Adami «che nel campo delle hard skills non si può trascurare il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale».
Ecco allora che il CIO di domani deve essere in grado di sfruttare le potenzialità dell’AI, deve puntare sull’apprendimento continuo, ma deve anche investire in una serie di fondamentali soft skill. Si parla di leadership e della capacità di comprendere al meglio il proprio ruolo all’interno di un’organizzazione, della capacità di ascolto («senza la convinzione di avere già tutte le risposte» evidenzia Adami) e della capacità manageriale di assicurarsi che lo sviluppo sia sempre sicuro e gestibile.
E ancora, in un mondo che si evolve sempre più rapidamente, il direttore informatico deve essere in grado di lavorare per priorità, puntando sempre a tradurre i risultati dei progetti in vantaggi competitivi per il business.