Dopo un viaggio aereo quasi rocambolesco e dilatato (con tanto di atterraggio di emergenza sanitaria in Bulgaria) e due giorni immerso nella cultura locale, finalmente arrivo nella valle del Mulkhara nel cuore della Svanezia, regione sperduta del Grande Caucaso, in Georgia.
Un lembo d’Europa che si fregia del vanto di possedere le più alte tra le montagne abitate, e che da sempre si è giovato della sua inaccessibilità, la prima strada fu costruita negli anni settanta: ci sono volute ben cinque ore di strada per arrivare fin lì, da Kutaisi; un tragitto lungo e tortuoso con strapiombi e burroni profondi da far paura, sprovvisti per lo più di qualsiasi ostacolo di sicurezza.
Zaino in spalla, si va! La prima cosa che mi attrae guardandomi intorno è il profilo inconfondibile della doppia cima del Monte Ushba, una sorta di doppio Cervino, alto ben 4.710 m, e che è considerato una delle cime più belle della Georgia, foto di rito e si prosegue. Sono le 13:00, il sole splende alto nel cielo, e sono nettamente in ritardo sulla tabella di marcia, inizio a salire lungo il crinale del Tetnuldi fino a raggiungere i 2500 mt. con un dislivello di quasi 900 mt per poi ridiscendere nella valle Adishchala. Il primo giorno non so perché mi mette sempre un po’ di ansia: visto anche il ritardato inizio del trekking sorge in me il timore di non riuscire ad arrivare prima che calino le tenebre ad Adishi dove mi fermerò per la notte, ogni passo è comunque un incognita e anche questo induce ad essere irrequieto. Dopo avere scollinato e sostato per ammirare quanto di stupendo mi circonda inizio la discesa verso la stretta valle del Adishchala. Finalmente la silhouette di Adishi avvistata dall’alto: una visione mozzafiato con le sue decine di case turrite che si stagliano verso il cielo. Il villaggio è piccolo, tutto raggruppato con strette viuzze disastrate dove solo uomini e animali possono passare, un pugno di sassi attorniato da un paesaggio fatto solo di boschi, pascoli e montagne. Arrivo stanco e provato dalla fatica, appena in tempo per vedere il sole sparire dietro le creste dei monti che mi sovrastano.
Durante la notte la pioggia è caduta costante, la mattina, invece, sembra offrire qualche spunto di sereno e l’abbondante colazione in stile georgiano, dà la giusta carica per riprendere la strada verso nord. Davanti a me si staglia nella sua maestosità il Tetnuldi 4.858 mt con i suoi ghiacciai, spartiacque con la vicina Russia. Dopo due ore, tenendomi rigorosamente alla sinistra del fiume Adishchala, eccomi ai piedi del ghiacciaio del Tetnuldi, in cerca del posto più idoneo per attraversare, dopo circa mezz’ora, proprio ai piedi del ghiacciaio, trovo la via per affrontare l’acqua e il freddo. Senza pensarci due volte tolgo pantaloni e scarponi, un ultimo sguardo all’acqua che fuoriesce dalla base del ghiacciaio e via. La corrente è forte, mi aiuto con i bastoncini per non perdere l’equilibrio, l’acqua è gelida, fa rabbrividire tutto il corpo, raggiunto la sponda opposta mi rivesto in un baleno per poi massaggiarmi i piedi con forza per riprendermi dal torpore e dal dolore. Guardando la riva opposta noto un cane che mi fissa incuriosito, non un cane caucasico, un bastardino simile a un cane lupo. Gli faccio un fischio come se volessi chiamarlo a me e lui senza esitare si lancia nell’acqua per raggiungermi, da quel momento sarà il mio fedele compagno di cammino. Dopo quattro ore di salita ecco il passo del Chkhunderi omonimo del primo tremila raggiunto dopo una breve deviazione in cresta verso sud, intorno a me monti di una bellezza unica dai nomi indecifrabili, sembra di avere ai miei piedi l’intero Caucaso. Ridiscendo nel versante opposto fino a raggiungere il fondovalle della strettissima Khaldechala. Valico dopo valico finalmente arrivo a Ushguli appena in tempo per non trovarmi al centro di una tormenta di pioggia e vento insieme al mio oramai compagno di viaggio a quattro zampe. Il villaggio è composto da quattro piccoli insediamenti situati a un’altitudine di circa 2.200 metri sul livello del mare, che lo rende uno dei villaggi abitati più alti d’Europa. Le sue torri arrivano fino a quattro piani e riuscivano ad ospitare fino a ottanta persone.
Salire sul Nanuldi 3.220 mt è stato alquanto duro quasi 850 m di dislivello una fatica immane dovuta al terreno scivoloso per la pioggia caduta durante la notte, la vista della valle sottostante è bellissima Ushguli da questa prospettiva è ancora più intrigante con le sue antiche torri di difesa a dominare le piccole case in pietra. A suggellare l’arrivo in vetta ecco nella sua maestosità il massiccio del Shkhara, parete di ghiaccio e roccia, che si eleva oltre quota 5.068, la montagna più alta della Georgia, resto ad ammirarla sperando di vederne la cima, ma le nuvole che l’avvolgono non hanno alcuna intenzione di diradarsi. La discesa verso il fondo valle è stata ancora più difficoltosa, ho rischiato più e più volte di scivolare per la pendenza del terreno e il fango. Rientro a Ushguli, che è diventato il mio campo base, stanco, bagnato e pieno di fango quanto il mio compagno di viaggio che oramai non mi molla più, siamo diventati tutt’uno. Mio malgrado ho dovuto rinunciare alla salita del terzo dei tremila il Chubedishi: una volta attraversato il fiume Enguri, una fitta lancinante mi sale dal ginocchio verso linguine sulla coscia di destra. Mi siedo a terra, mi massaggio, il dolore sembra attenuarsi ma la stilettata è stata bruttissima e dolorosa. Mi rialzo ma zoppico vistosamente e il peso dello zaino si sente tutto, non ho potuto fare altro che ritornare lentamente sui miei passi sperando che domani sia passato il tutto.
Il riposo e gli antidolorifici hanno fatto in parte il loro effetto, un po’ claudicante riesco a camminare, non posso non arrivare alla Shkhara oramai così vicino. Decido di lasciare lo zaino a Ushguli e mi avvio verso nord seguendo la valle del Enguri dopo più di due ore di sofferenza eccomi finalmente ai piedi del ghiacciaio, mi siedo ad osservarlo è stupendo ancor di più lui lo Shkhara che anche oggi non si fa ammirare del tutto nella sua grandezza con la vetta ammantata da nubi vorticose. Foto di rito e mi incammino verso valle negli ultimi sette km di trekking credo i più sofferenti che abbia mai fatto, ma contento felice di avere portato a termine e raggiunto la meta.
Il ritorno a valle verso Zugdidi è stata un’altra esperienza, altro capitolo a parte di questo viaggio. Gli autisti georgiani delle marshrutka guidano come pazzi, parlano al telefono, fumano e corrono, sembrava di stare in uno dei film di Fast and Furious. Penso di aver ripetutamente rischiato la vita durante sorpassi azzardati su strade a una corsia in curva con dirupi accanto di cui non si vedeva la fine, ma per fortuna sono ancora qui a raccontarlo.
Non so descrivere quanto importante sia stato per me il viaggio nella Svanezia, nel grande Caucaso ma so che rimarrà sempre dentro di me. Il fatto di averlo dedicato a Progetto Autismo FVG mi riempie di gioia e speranza di aver contribuito a sensibilizzare quanti mi seguono . Ed è bellissimo così.
Infine, non posso non ringraziare il carissimo amico Davit Suliashvili ‘Dato’ per l’aiuto ricevuto nel reperire informazioni e aiuto logistico in loco per fare sì che questo meraviglioso trekking si concludesse nei migliori dei modi.
In copertina : Foto dal ghiacciaio dello Shkhara