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“DI UN’ALTRA VOCE SARÀ LA PAURA” di YULEISY CRUZ LEZCANO – Recensione di Daniela Cecchini

DiRedazione

Nov 21, 2024

Una silloge profondamente meditativa, un viaggio interiore nelle viscere della psiche straordinariamente intenso. Un mosaico delle emozioni – frammentato e ricomposto – di notevole pathos, di minuzioso scavo nelle pieghe dell’anima, in grado di scuotere le coscienze e far riflettere sul grido muto delle ferite – testimoni di un dolore antico – inflitte dalla violenza.

La tematica centrale è quella della violenza di genere, segnatamente fisica, seppur declinata nelle sue molteplici sfaccettature, fra cui l’aspetto psicologico e sociale:

Non si trovano concetti per questa tragedia, le idee giacciono seminate e le immagini di migliaia di donne stuprate si accumulano nella memoria.

L’autrice, non si limita a denunciare il fenomeno, che echeggia nel tempo, ma ne esplora le radici più ascose, le conseguenze devastanti e la complessità delle dinamiche che lo alimentano, con un’acuta sensibilità ed un linguaggio potente ed arrivante, che conduce verso un labirinto oscuro, in cui le ombre della violenza si materializzano in versi carichi di un’emotività che si estende oltre i confini della mera rappresentazione:

E poi nella pena eterna di questa vita, ti porto la mia aria d’inverno perché asciughi il tuo delitto, così che il mio perdono sia il patto che ti accompagna fino all’inferno.

Il lettore si immerge in un cantico interiore, in un’elegia delle profondità dell’io, che risuona in un abisso di dolore e sofferenza, dove la parola poetica si trasforma in un’invettiva contro le lacerazioni più devastanti dell’animo umano.

In questo affresco psicologico il dolore, inconfutabile protagonista, si erge a paradigma universale dell’esperienza umana, tessendo una trama intricata che cattura l’essenza della condizione esistenziale:

Ogni giorno ti lanci nel vuoto, in una caduta che non sembra avere fine (aforisma)

Un dolore che si manifesta in tutta la sua crudezza, ma anche nella dimensione più intima e personale. le liriche diventano così un grido di liberazione da un peso insopportabile:

Perfino il mio cuore disidratato mi è di peso (…)

Tuttavia, nonostante la gravità dei temi affrontati, l’itinerario lirico è caratterizzato anche da una ricorrente, timida ricerca da parte della Lezcano di uno spiraglio di luce, fra le tenebre generate dalla violenza, che si unisce al tentativo di delineare i contorni delle ferite interiori, per riuscire finalmente a dare voce a chi è stato offeso, segnato dalla brutalità e, di sovente, privato del diritto di esprimersi. Questo suggestivo arabesco dell’interiorità, intrecciato e misterioso, non si limita a rappresentare la sofferenza, offrendo contemporaneamente un attento sguardo sulla resilienza umana. Le vittime, seppur ferite, non si arrendono, ma cercano di risollevarsi e di ricostruire la propria vita.

La raccolta assurge a modello di indagine approfondita sulle ferite più recondite dell’individuo, in cui la violenza di genere si configura come un’esperienza universale. Il dolore non si limita a rappresentare un’emozione che caratterizza un vissuto individuale, abile a segnare indelebilmente l’anima di chi la subisce:

Sei l’ora che ritorna sempre nell’immagine del mancato volo per strappare ancora e ancora le mie ali.

Infatti, al tempo stesso, l’abisso del dolore va a significare un bagaglio collettivo, che unisce le generazioni.

La Nostra, impiegando un registro linguistico diretto e incisivo, scevro di filtri, edulcorazioni ed eufemismi di sorta, affronta senza esitazioni temi scomodi, rappresentando scene di violenza con rigido ed impietoso realismo, che in realtà si rivela necessario per far comprendere appieno la complessità del problema. Ispirata e guidata da un coraggio disarmante, non solo denuncia l’orrore, ma ne esplora le radici più interne, svelando un mondo di relazioni distorte e di potere, spesso esercitato in modo coercitivo.

Il corpo umano diviene il campo di battaglia sul quale si consumano le violenze più atroci e l’autrice descrive in chiave lirica le ferite inferte all’identità e alla dignità umana, trasformando la pelle in una mappa delle sofferenze patite:

Ero urlo inascoltato che voleva vivere altrove, senza pensarsi.

La pluralità di prospettive delle voci che si alternano nei vari componimenti poetici – rendendo la narrazione ancor più sfaccettata – dalle vittime agli aggressori, dai testimoni ai complici e alla società lato sensu, contribuisce a delineare un quadro complesso e multiforme della violenza, rivelando le dinamiche perversamente impigliate che la alimentano.

La poesia, elemento catartico per definizione, crogiuolo in cui le emozioni si tramutano in parole, dialettica tra l’io e il mondo, si configura come un’arma di liberazione e Yuleisy, per il tramite di simbolismi e metafore, volti ad ampliare il significato delle parole, riesce a trasmettere al lettore – attraverso la tessitura di una trama emotiva densa ed avvolgente – l’intensità di un’esperienza che sfugge alle parole.

La scelta di affiancare alle liriche fotografie d’autore ed aforismi contribuisce fortemente a creare un’atmosfera suggestiva e multisensoriale, invitando il lettore ad una partecipazione attiva e ponderata, che non concede alcun spazio all’approssimazione.

L’opera “Di un’altra voce sarà la paura” trascende i confini della letteratura, andando ad interpellare la coscienza collettiva, sino a diventare un atto di denuncia sociale e l’originalità di quest’opera risiede in primis nella capacità dell’autrice di coniugare il grido di allarme de quo con una profonda riflessione sulla condizione umana, ricorrendo alla forza evocativa di versi liberi, coinvolgenti ed estremamente pervasivi.

Pertanto, le liriche, pur potendo assumere valenze critiche, non si esauriscono in semplici atti di accusa, elevandosi a vere e proprie indagini psicologiche ed esistenziali che portano ad interrogarci sulle nostre responsabilità, invitando ogni individuo a riflettere sul proprio ruolo di spettatore attivo o passivo, nell’ambito del proprio contesto sociale di riferimento, dinanzi alle manifestazioni di violenza.

Uno scrutinio dell’anima, un’analisi lucida e penetrante che stimola nel lettore un percorso di auto-esplorazione, per una presa di coscienza critica sulla consapevole assunzione dei propri doveri individuali e collettivi, sul proprio contributo alla società e sul ruolo che riveste nel grande teatro della vita.

Questo sentiero poetico, pur nel suo rigore, offre uno spiraglio di speranza, dimostrando come la parola possa rappresentare un potente strumento di trasformazione e di riscatto:

Tra materia incerta, nell’anima affannata si apre una porta: il cuore pieno di voci, dimentica, scommette, ama, si riprogramma.

Un chiaro invito a ridefinire il nostro rapporto con l’altro, ma anche un imperativo categorico a non eludere la sofferenza universale. Una esortazione in favore di una palingenesi sociale, intesa come motore di una trasformazione radicale che, partendo dalla consapevolezza del dolore, possa far risorgere dalle sue stesse ceneri una nuova umanità, più compassionevole, equa e solidale, quindi, eticamente corretta.

Le poesie – parafrasando Nietzsche – sono frammenti di un grande poema cosmico; frammenti che ci invitano ad indagare sulla condizione umana e sulle nostre responsabilità, spingendo ognuno di noi ad interrogarci sul senso della vita e sul nostro posto nel mondo.

Ad meliora et maiora semper!

Dott.ssa Daniela Cecchini

(Giornalista, Project Manager, Critico letterario)

Yuleisy Cruz Lezcano nata a Cuba, vive a Marzabotto, Bologna. Lavora nella sanità
pubblica, laureata in scienze biologiche e ha ottenuto una seconda laurea magistrale
in scienze infermieristiche e ostetricia. Ha pubblicato 18 libri. L’ultimo libro pubblicato
è Di un’altra voce sarà la paura, con Leonida edizioni. Si occupa di traduzione e
collabora con diverse riviste latinoamericane, è redattrice del giornale letterario del
Premio Nabokov e del blog Alessandria today. È membro d’onore del Festival
Internazionale della poesia di Tozeur Tunisia.

IL VALORE DELL’ARTE E DELLA CULTURA NEL CONTRASTO ALLA VIOLENZA DI GENERE

di Yuleisy Cruz Lezcano

Il potere dell’arte e della cultura emerge come un alleato fondamentale nella lotta contro la violenza di genere. Infatti l’arte ha la capacità di evocare emozioni, stimolare riflessioni e raccontare storie che possono cambiare la percezione della violenza. Per esempio, attraverso il teatro, la musica, la danza e le arti visive, gli artisti possono affrontare tematiche complesse, rendendo visibili le esperienze di coloro che hanno subito violenza. Opere teatrali come “The Vagina Monologues” di Eve Ensler o il progetto “One Billion Rising” hanno messo in luce le problematiche legate alla violenza, creando uno spazio per il dialogo e la condivisione.

L’arte offre anche spazi di riflessione e guarigione per le vittime di violenza. Progetti artistici che coinvolgono le persone colpite possono diventare strumenti di empowerment, permettendo loro di esprimere le proprie esperienze e di riprendersi il controllo della propria narrazione. Iniziative come il “Women’s Storytelling Project” hanno dimostrato come il racconto attraverso l’arte possa favorire un processo di cura e reintegrazione.

Ci sono, poi, diversi studi sul potere della letteratura nell’influenzare le opinioni e le norme sociali. La letteratura potrebbe essere uno strumento efficace che accompagna diverse forme d’arte, promuovendo campagne artistiche per sfidare gli stereotipi di genere e creare modelli positivi di relazioni tra i sessi. Dentro i film può essere presente la poesia, così come dentro le canzoni, quindi le diverse forme d’arte, insieme, possono trattare temi di violenza e resilienza, ispirare il cambiamento e mobilitare le comunità.

Lezioni d’amore e nuove rappresentazioni tramite l’arte

La rappresentazione positiva delle donne e il racconto delle loro storie di successo contribuiscono a costruire un’immagine alternativa rispetto alla narrativa dominante. A questo scopo le collaborazioni intersettoriali sono fondamentali, perché massimizzano l’impatto dell’arte e della cultura.

Le collaborazioni tra artisti, educatori, attivisti e istituzioni creano delle sinergie tra questi diversi attori. In questo modo, si possono creare progetti innovativi su larga scala, capaci di raggiungere un pubblico ampio e diversificato. Questo perché l’arte e la cultura non sono solo strumenti di intrattenimento, ma risorse vitali per affrontare le questioni sociali e promuovere un cambiamento positivo.

Investire in iniziative artistiche e culturali può contribuire significativamente a combattere la violenza di genere, creando una società più giusta, empatica e consapevole. La bellezza dell’arte risiede nella sua capacità di unire le persone, stimolare il pensiero critico e, infine, promuovere la pace e il rispetto tra i generi. Le proposte possono essere innumerevoli e diversificate. Attraverso dipinti, sculture e installazioni, dialoghi poetici, dibattiti letterari, gli artisti possono veicolare il tema della violenza di genere anche in una chiave propositiva, creando opere che non solo raccontano storie, ma stimolano riflessioni profonde e coinvolgono il pubblico in un dialogo necessario.

Dialoghi artistici per proporre nuovi schemi comportamentali

Il dialogo comporta coinvolgimento, nuove idee, ma anche consapevolezza che la società è una somma di tutti noi, che rappresentiamo la totalità. Ciascuno di noi può fare la differenza. Per esempio, pensiamo all’arte visiva: ha un enorme potere di penetrazione e, mentre scrivo, mi viene in mente l’opera “La Donna che Piange” di Pablo Picasso. Questa celebre opera, realizzata nel 1937, è un potente simbolo di sofferenza e perdita. Sebbene non sia specificamente dedicata alla violenza di genere, la sua intensa espressione emotiva parla della fragilità umana e delle esperienze dolorose che molte donne vivono. Picasso, attraverso l’uso del colore e della forma, riesce a trasmettere il dolore e la vulnerabilità, invitando lo spettatore a riflettere sulle ingiustizie.

E come non citare Frida Kahlo! Mitica icona dell’arte femminista, che usò perfino il suo corpo e le sue esperienze personali per esplorare temi di identità e sofferenza. In “The Broken Column”, Kahlo rappresentò la sua vulnerabilità fisica e psicologica dopo un incidente stradale, ma il dipinto può essere interpretato anche come una metafora della violenza subita dalle donne. La colonna vertebrale spezzata simboleggia la rottura del corpo e dell’anima, richiamando l’attenzione sulla fragilità delle donne di fronte a esperienze traumatiche. Sempre Frida Kahlo, nel 1935, descrisse la violenza omicida contro le donne nella sua opera “Pocos Piquetitos”(Pochi taglietti). In questo dipinto l’artista è partita da un fatto di cronaca che raccontava di un uomo ubriaco che per gelosia aveva pugnalato venti volte la sua fidanzata e che, senza pensarci troppo, sosteneva di averle fatto solo “qualche taglietto”. Attraverso le opere di artisti come Frida, che affrontano il tema della violenza di genere, possiamo non solo riconoscere e denunciare questa realtà, ma anche lavorare per costruire una cultura di rispetto e uguaglianza.

Se pensiamo poi all’effetto delle immagini, unito a quello della gestualità, delle parole, il teatro ha da sempre svolto un ruolo fondamentale nella riflessione sociale e nella formazione di opinioni. Attraverso la rappresentazione di storie reali e immaginarie, il teatro può contribuire a creare modelli positivi e a promuovere la parità di genere. Opere teatrali che affrontano il tema della violenza di genere, come “The Vagina Monologues” di Eve Ensler, non solo danno voce alle esperienze delle donne, ma incoraggiano anche il pubblico a confrontarsi con le proprie convinzioni e pregiudizi. Le performance teatrali possono fungere da piattaforme per l’empowerment, offrendo agli attori e alle attrici l’opportunità di esplorare ruoli complessi e sfumati, lontani dagli stereotipi tradizionali. Attraverso la narrazione di storie di superamento, il teatro promuove modelli di comportamento positivi e relazioni sane, ispirando il pubblico a riflettere su come agire nella propria vita quotidiana. Inoltre, il teatro comunitario può coinvolgere direttamente le persone nelle discussioni sui temi della violenza di genere.

Laboratori e produzioni che invitano il pubblico a partecipare attivamente non solo aumentano la consapevolezza, ma offrono anche uno spazio sicuro per l’espressione e il dialogo. Questa interazione può creare un senso di comunità, facilitando la costruzione di reti di supporto e la diffusione di messaggi di rispetto e uguaglianza.

In tutte le forme d’arte c’è spazio per la parola poetica, che senza dubbio si manifesta attraverso l’uso di immagini che ci riportano a tessuti simbolici per condividere esperienze di illuminazione. Arricchite dalla contaminazione con altre forme d’arte, utili a inaugurare un modello di cosmogonie efficace, perché arricchito da tante dimensioni simboliche (come la musica, il cinema, la pittura, la scultura, il teatro), la poesia è dove cristallizzare nuovi schemi di relazione, non solo cognitivi, ma esperienziali, corporali, che rinviano a realtà palpabili, capaci di sorreggere la riflessione.

Creazione di una rete artistica culturale e pedagogico-educativa

La rete che si crea è complessa e di varie tonalità, temi, modelli rappresentativi, con momenti di ricchezza estetica, intellettuale, emotiva. Consapevole di tutta questa ricchezza, con il mio libro «Di un’altra voce sarà la paura», pubblicato da Leonida edizioni, per trattare la violenza di genere, durante le presentazioni ho pensato e trasmesso dei contenuti al pubblico sull’importanza di progettare laboratori artistici nelle scuole per promuovere nuovi moduli comportamentali. Ho pensato all’utilità di rivisitare il linguaggio artistico e poetico per orientare le nuove generazioni verso il cambiamento.

La comunicazione è la perla della bocca e l’arte del linguaggio ha la capacità di rischiarire le immagini mentali fino alla trasparenza. Giudico tale capacità, più di ogni altra, adatta a risolvere un dissidio che sovente ci turba con violenza, il dissidio tra la parvenza esteriore e la profonda realtà della vita.

L’arte non ha fini ma può divenire uno strumento di “purovisibilismo”, che entrando in rapporto con la violenza, libera… di una liberazione che lacera convenzioni, pregiudizi, creando nuovi mondi pur rimanendo nel mondo. La poligenetica unificata del linguaggio artistico, può divenire un metodo per ricomporre non solo l’indicibile molteplicità dei comportamenti umani ma potrebbe usare il metodo evocativo per sviluppare empatia verso l’altra persona, con un reticolo congetturale, che con trama movimentata, crea nuove soluzioni per affrontare sentimenti come perdita, possesso, rabbia e pulsioni istintive.

L’arte è uno strumento da sfruttare per l’education peer, per aprire il dibattito, per potenziare la sensazione del pubblico di essere soggetti agenti del cambiamento sociale, in grado di trasmettere nei pari le conoscenze, gli atteggiamenti che consentono di sviluppare una maggiore consapevolezza e una maggiore comprensione del fenomeno.

Una campagna di comunicazione che usa la poesia e le altre forme d’arte per creare un iniziale sconvolgimento dei presenti, una mimesi del fenomeno violenza di genere e per parlare della drammaticità del trauma di stupro, può proporre anche il contrario della violenza, può documentare il benessere che un gruppo di persone o una società potrebbe godere se si crea empatia verso l’altro, se si educa alla stima, al rispetto reciproco tramite un’educazione sentimentale ed emotiva. Tutto questo senza lasciarsi travolgere da una società in cui predominano condizioni di produzione e accumulo di oggetti, in cui l’arte diviene solo un accumulo di spettacoli. Il vissuto deve accompagnare la rappresentazione e l’arte si deve impegnare nel recupero dell’immagine che sia atto di pensiero, addentrarsi nella realtà acquistando non solo durata ma dando vita a un contesto spazio-temporale, che esalti l’importanza del linguaggio, con un nuovo atteggiamento, capace di seminare il seme della liberazione incontaminato, che allontani quel sistema di produzione che fa immaginare il corpo femminile come un’altra merce.

L’arte si deve poi impossessare del vuoto tra cultura e vita, penetrare l’esistenza, conservando la propria carica sovversiva e provocatoria, per guadagnare una funzione sociale, con un alto quoziente didattico, gnoseologico e pragmatico, atto a trasformare la tendenza alla violenza dell’uomo.

Conclusioni

L’arte non è terapeutica, perché non ha un fine, né una funzione; non può curare, né trascendere, né cambiare le persone o il mondo, ma può aiutare emozionalmente a guarire senza che si sappia come e perché. L’arte ha i suoi mezzi per riparare, attraverso il linguaggio, sia esso verbale, gestuale, visivo. Usare l’arte come strumento può fare parte di quegli interventi culturali volti a cambiare le narrazioni di genere.

Per questi motivi e con queste premesse viene a configurarsi un’unione solidale degli artisti con la storia dei singoli, della loro responsabilità di singoli di fronte all’impegno morale della vita.

Come ben si sa, la cultura permea tutti gli aspetti della vita umana: dagli aridi testi giuridici ai colori vibranti, ai ritmi ed emozioni della creatività e del gioco artistico e scientifico. La cultura è il modo in cui assegniamo significato alle cose. I lessici culturali possono essere modulati tramite l’arte per migliorare la nostra comprensione, risposta e impegno nei confronti del mondo umano, naturale e fabbricato.

La cultura incarna la nostra umanità collettiva, è capace di nutrire grandi menti creative e promuovere innovazione, anche attraverso il piacere. L’arte è uno strumento utile per modificare i comportamenti, per agire sulla mentalità e cambiare gli schemi mentali di una società, quindi strumento per cambiare modelli culturali.

La cerniera tra ricostruzione di un nuovo modello formale, tra il momento di riconoscimento dei valori della donna in una società è guidata dalla cultura, ma l’arte può essere una componente fondamentale e un veicolo privilegiato per comprendere che evolversi vuol dire relazioni basate sul rispetto ed equilibrate.

Di Redazione

Direttore : SERAFINI Stefano Per ogni necessità potete scrivere a : redazione@vocedelnordest.it

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