Ci sono voluti sedici giorni per portare a termine questa traversata Nord/Sud dell’Islanda, finalmente sono arrivato sulla costa a sud precisamente a Skogarfoss, stanco, provato dalle continue escursioni termiche, una lotta giornaliera contro le forze della natura ma affrancato ed emozionato come al solito per avere ultimato questa ennesima avventura iniziata dopo tre giorni tra ritardi e cancellazioni di voli da Akureyri, che vado a ripercorrere.
Passata la prima notte in tenda, nei pressi del piccolo aeroporto, mi incammino e per i primi tre giorni risalgo il fiordo Eyjafjörður prima di raggiungere il fiume omonimo e inoltrarmi nella valle fino ai piedi degli Haliendo, ultimo ostacolo tra me e la catena montuosa l’attraversamento di un guado un torrente generato dal ghiacciaio Hofsjokull. Raggiunto la sommità mi si è aperto davanti non uno scenario lunare, come immaginavo, ma una distesa di accumuli di neve, quindi, mi son dovuto adattare ed affrontare lunghe deviazioni per poter continuare a seguire la F821. Più mi inoltravo più la forza del famigerato vento del Sprengisandur aumentava e la temperatura calava credo sui quattro gradi, un soffiare continuo come l’aria di un phone, ed io e il mio zaino ne eravamo una vela in balia.
Dopo venticinque km tra deviazioni e lotta col vento e una piccola sosta dietro un enorme masso decido il da farsi, visto l’impossibilità di montare la tenda vado a oltranza fino allo shelter di Laugafell raggiunto con le forze allo stremo, vista la tormenta di pioggia e vento in cui mi son ritrovato a camminare, entro e una temperatura tiepida mi assale, non posso crederci è riscaldato tramite la vicina sorgente di acqua calda. Rinfrancatomi mentre fuori la tormenta non dà segnali di tregua, studio il percorso per il giorno dopo e mangio, finalmente, qualcosa di caldo. Sono nella zona di Hrauneyjar, dopo aver attraversato la parte più dura e selvaggia del Sprengisandur, tra allerta meteo, vento e pioggia.
Sono le cinque del mattino non sento più il vento, ma mi sono risvegliato in una foschia che non so perché mi dà un senso di pace. Il tempo di sgranocchiare qualcosa e parto, esco dallo shelter già preparato al primo guado. Per fortuna l’acqua non arriva oltre le ginocchia ma è gelida, le dita dei piedi mi fanno male. Lo scenario cambia: niente più neve ma solo distese desertiche di un grigio/marrone e nulla più ne vegetazione ne fauna. Per rompere la monotonia ogni tanto alzo gli occhi sui maestosi ghiacciai Hofsjòkull e Tungnafells jokull.
Dopo 29 km di saliscendi, guadi e un vento glaciale, che neanche a farlo apposta soffia sempre contrario, davanti mi compare il lago Fjordungsvatn di un azzurro brillante, dove passerò la notte arrotolato nel mio sacco a pelo a misura di inverno. Mi sveglia di buonora il rumore della tenda sferzata dal vento, non è stato per niente facile ripiegarla. Il tempo di partire e mi arriva un’allerta meteo per forti venti dal quadrante di Nord/Ovest, altra decisione, raggiungere Nyidalur al più presto, venti km forzati che mi regalano la prima vescica. Arrivato mi rifugio all’interno fuori il vento va alzandosi di intensità tant’è che durante la notte scuoteva il fabbricato come un fuscello. Nei cento kilometrti finora percorsi, il nulla: solo deserto e guadi. Finché a fine sentiero, incrociando la strada finalmente la civiltà, un albergo: pieno di turisti di ogni dove, che vanno a visitare il vicino parco nazionale di Landmannalaugar.
E’ tutto prenotato, per fortuna mi permettono di fare una doccia alla modica cifra di 1100 corone, dopo giorni ne avevo proprio bisogno e di ricaricare il cellulare. Esco dell’albergo rinfrancato, mi sembra di essere rinato, mi avvio sotto un sole che fa capolino tra le nuvole, ma giusto il tempo di percorrere tre km e mi ritrovo sotto una pioggia battente che non mi darà tregua per tutta la giornata. Più mi avvicino a Landmannalaugar più il vento e il freddo aumentano ma visto l’impossibilità di ancorare la tenda al terreno, cammino ad oltranza fino alla meta prefissata. Arrivo a Landmannalaugar che è l’una di notte, mi rifugio in una specie di tendone, con panche e tavoli, la stanchezza è talmente tanta che solo al pensiero di montare la tenda mi sento male, mi sdraio quindi su di una panca e mi addormento. Credo di aver dormito un quattro ore e oggi mi tocca la scalata ai monti Hrafntinnusker un dislivello di 480 metri per raggiungere l’omonimo passo. Un vento gelido è impietoso mi attanaglia lungo tutto l’itinerario.
Risalgo su diverse colate laviche che si sono succedute nel tempo tra monti e colline con diverse colorazioni dovute alla riolite. Un entusiasmante gioco di colori che contrastano con il ghiaccio la neve e le fumarole, che con forza escono dal terreno con un sinistro brontolare, sembra di essere in un’atmosfera da fantasy (il richiamo alla saga de “Il Signore degli anelli” è forte) invece è fascinosamente reale, tanto che a tratti talmente ne sono immerso dimentico la fatica e i dolori che incominciano a perseguitarmi. Raggiunto il passo di Hrafntinnusker a più di 1000 metri di altezza, passando tra nevai e una nebbia fitta che mi ha messo non poca apprensione, decido di scendere nella valle sottostante, troppa è la neve e il freddo siamo intorno ai zero gradi, per raggiungere la zona di Alftavatn dove mi fermerò per la notte, altre tre ore di cammino con un ennesimo dislivello di 490 metri. Inizio a scendere e un forte odore di zolfo mi assale, altro segnale che il vulcanesimo è attivissimo in queste zone.
Non so quanti torrenti/fiumi avrò guadato ma quello di Throngan con le sue acque grigie classiche di un fiume che si genera da un ghiacciaio l’Eyjafjallajokull è il più gelido che abbia incontrato, ho perso la sensibilità alle dita dei piedi. Mancano ormai alla fine di questa traversata poco più di trenta km, e questo mi tira su di morale ma mi aspetta un’ennesima scalata degna di un alpinista con tanto di semi ferrata per raggiungere il passo Fimmvorouhals e i margini del ghiacciaio Eyjafjallajokull che nasconde il vulcano attivo che eruttò nel 2010. Raggiunto il passo decido di fermarmi per l’ultima notte protetto da una collinetta dai forti venti, tra i due giganti di ghiaccio il Mýrdalsjökull e il Eyjafjallajökull. Inizio la discesa verso Skogar seguendo il fiume Fimmvoduhals il quale mi regala lo spettacolo di numerose cascate prima di quella finale di Skogarfoss.
Pare il segnale che mi indica di essere alla fine di questa stupenda e faticosa traversata e come successo in passato in altre avventure, incominciano a sopraffarmi delle emozioni indefinibili. Un’ora ed eccomi davanti alla maestosa “Skogarfoss”, la mia traversata dell’Islanda Nord/Sud è finita: so di aver fatto un qualcosa di unico, specialmente attraversando lo Sprengisandur l’altopiano desertico 340 km in 16 giorni di marcia, tra cui due chiuso in uno shelter per non sfidare le forze della natura tra deserto, lava e neve. Un brivido mi corre sulla schiena l’emozione mi assale ma ora è solo il tempo di lasciare scorrere i pensieri e i ricordi.
Mi fermo qui ancora una notte almeno, dopo giorni e giorni di solitudine e silenzio, interrotti solo dalla sosta nel hotel The Highlandcenter, ho ritrovato un aggancio con la “civiltà” che mi aiuterà a riconciliarmi col rumore dei nostri tempi fatto di traffico e fretta.